Lingua italiana insieme
L'osteria in Italia: intervista
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Se avete viaggiato in Italia, avrete sicuramente visto questi piccoli ‘ristoranti’ chiamati osterie.
Le osterie sono una componente importante della cultura italiana, del modo di vivere il cibo, del modo di stare insieme a tavola. In questa intervista farò due chiacchiere con il proprietario di un’osteria di Arezzo che vi parlerà del suo lavoro, del suo locale, in modo da farvi conoscere meglio questa realtà tipicamente italiana. Nell’introduzione inoltre parlerò un po’ della storia di questi luoghi e delle loro caratteristiche.
INTRODUZIONE
State ascoltando “le cose italiane”, una rubrica prodotta da LerniLango, un’infrastruttura online per l’apprendimento della lingua italiana. Per saperne di più e per leggere la trascrizione dell’intervista vienici a trovare su LerniLango.com.
Per adesso, buon ascolto dell’intervista: “Che cos’è un’osteria? Ne parliamo con Francesco, proprietario dell’osteria ciao dal Chiodo di Arezzo”.
INTRODUZIONE
State ascoltando “le cose italiane”, una rubrica prodotta da LerniLango, un’infrastruttura online per l’apprendimento della lingua italiana. Per saperne di più e per leggere la trascrizione dell’intervista vienici a trovare su LerniLango.com.
Per adesso, buon ascolto dell’intervista: “Che cos’è un’osteria? Ne parliamo con Francesco, proprietario dell’osteria ciao dal Chiodo di Arezzo”.
INTERVISTA
Il 18 maggio del 1579 il Granducato di Toscana bandì pubblicamente il divieto di tenere giochi e biscazze nelle osterie a causa di inconvenienti, bestemmie, scelleratezze, mariolerie, inganni e falsità che i giochi, inevitabilmente, generavano.
Il divieto è intransigente: nessun uomo (perché il gioco era più una cosa da uomini all’epoca), nessun uomo, di qualsivoglia grado e condizione sociale, poteva giocare.
Era una questione di ordine pubblico, principalmente, perché al grande giocare in osterie, taverne e grecaioli seguivano giornalmente gravi danni e un grande disordine.
In modo particolare venivano proibiti pari e caffo (cioè pari e dispari), la morra, i giochi di carte e di dadi.
Chi avesse trasgredito sarebbe stato severamente castigato (e questo valeva anche per i giovanetti nobili, che, stando al bando, erano partecipanti e organizzatori abituali di queste biscazze)!
Questo bando ci racconta insomma che le osterie, luoghi con funzione di ospitalità (la parola osteria deriva infatti da oste, a sua volta derivato di hospes-hospitis, latino di ospite), dicevo, le osterie, luoghi con funzione di ospitalità, in passato, potevano anche trasformarsi, alle volte, in dei veri e propri casinò (illegali)!
Nelle osterie, comunque, si andava principalmente per bere vino e per mangiare qualcosa (e per usufruire, in alcuni casi, anche di altri servizi, come una camera da letto o una prostituta).
La loro prima attestazione in Italia risale al XIII secolo: nel 1300 a Bologna se ne contavano già 150, a partire poi dal XV secolo il loro numero aumentò considerevolmente.
Le osterie sorgevano principalmente in luoghi di passaggio e di commercio, strade, piazze, mercati, incroci, ed erano luoghi d’incontro e di ritrovo (ripeto, principalmente per uomini), luoghi dove intessere e coltivare relazioni sociali, dove incontrarsi, scambiarsi idee e dove fare anche biscazze, cioè dove giocare d’azzardo.
Non era infatti così insolito incontrare tipi loschi e donnine allegre (cioè prostitute) nelle osterie, né tantomeno era insolito ritrovarsi nel bel mezzo di una rissa tra ubriachi o tra giocatori d’azzardo. Sono sicura che avete visto almeno un film o una serie televisiva in cui le osterie o le taverne erano rappresentate in questo modo: a me per esempio vengono in mente Il signore degli anelli, Game of thrones, I borgia.
Era insomma risaputo che reietti, gente malfamata, vecchi ubriachi, bestemmiatori, marinai, prostitute, ladri, assassini, tipi strani frequentassero le osterie, come ci racconta anche De Andrè nella sua canzone La città vecchia, ispirata alla poesia di Umberto Saba, La città vecchia.
In questi due bellissimi componimenti (che vi consiglio di ascoltare e leggere) il cantautore e il poeta descrivono la gente d’osteria, l’umanità dei vicoli malfamati del porto di Genova (De Andrè), e quella delle zone malfamate di Trieste (Saba), luoghi dove (cito la canzone di De Andrè) “il sole del buon Dio non dà i suoi raggi”, perché “ha già troppi impegni per scaldare gente d’altri paraggi”.
Un’umanità dunque senza voce, quella che frequentava le osterie, ma con tanta rabbia, proprio come quella descritta da Alfredo De Giuseppe nel suo documentario L’ultima osteria.
Oltre a questa, però, c’è un’altra rappresentazione dell’osteria, forse più contemporanea o moderna, rappresentazione molto ben raccontata da Francesco Guccini in Canzone delle osterie di fuori porta.
Questa seconda rappresentazione è quella che sento più vicina, è quella che io ho vissuto, soprattutto al tempo dell’università a Siena, e cioè dell’osteria come luogo semplice, famigliare, genuino e anticonformista, dove incontrarsi per bere vino e chiacchierare con leggerezza, spesso, ma anche con toni un po’ più alti quando si affrontavano argomenti più importanti.
L’osteria come luogo dove le differenze si annullano, dove i problemi, la vita, i programmi, gli esami rimangono fuori e dove l’unica cosa importante è stare insieme e divertirsi.
L’osteria come luogo dove ci si prende un po’ meno sul serio, almeno per un po’.
A Siena, ogni martedì, andavamo con i miei amici all’osteria del gallo parlante (che ora purtroppo ha chiuso), per ascoltare altri amici che suonavano dal vivo, per cantare, bere vino e mangiare piatti locali (come la panzanella): sedevamo tutti insieme ad un lungo tavolo, non c’erano tavoli separati, e penso che questa fosse la cosa più bella.
L’osteria, per me, è stata inoltre il luogo dove ho potuto sentire e vivere la vera vita di Siena, soprattutto durante il periodo del Palio: la gente parlava del Palio, discuteva, faceva previsioni, si arrabbiava, cantava, rideva, aspettava con ansia questo evento cruciale per la città.
Non scorrazzo ormai più fino a tardi con i miei amici a bere vino nelle osterie (o almeno non così spesso come all’università), ma indubbiamente ci vado ancora nelle osterie, per mangiare bene, bere del buon vino e attaccare bottone con l’oste o con chi è seduto accanto a me, e qui ad Arezzo ne ho trovata una che mi ha fatta sentire un po’ come a Siena, dove come a Siena ho potuto sentir vivere la città.
Ed è proprio il proprietario di questa osteria che ho deciso di intervistare questo mese, per farvi conoscere la realtà delle osterie attraverso il racconto di una storia vera, di un vero oste.
Quindi, non aggiungo altro e vi faccio ascoltare la mia chiacchierata con Francesco, proprietario dell’osteria ciao dal Chiodo di Arezzo.
Ascolterete un esempio di italiano regionale informale, con accento toscano, e durante l’intervista ci saranno vari rumori di sottofondo, perché è stata registrata all’interno del locale: questo significa che questo è un ascolto molto avanzato.
INTERVISTA
Vai proviamo un attimino i microfoni, vediamo come va, il mio funziona, pronto, prova, 1,2,3, prova, vai, perfetto, anche il tuo funziona perché sai sarebbe spiacevole che poi partiamo con la registrazione, e non funziona bene, e non, praticamente non si è registrato niente, non si sente niente, cioè mi è successo tremila volte ero lì a parlare, magari uno ha detto anche le cose più belle e dopo, si sono perse, esatto, ero lì a parlare per quindici minuti, poi torno sul programma, “Oddio non ho registrato!”, cioè veramente è una delle cose più brutte che non augurerei neanche al mio peggior nemico, che però è un classico, un classico, succede sempre, sempre, va bene, allora io direi di iniziare, va bene, così, sarà una chiacchierata informale senza troppo stress, va bene quindi io inizierei col presentarti, col presentarti, oggi ho il piacere di intervistare Francesco, Francesco sì, Francesco Piomboni, Francesco Piomboni, titolare della vineria Ciao dal Chiodo, esatto, una vineria ad Arezzo sita in, che piazza è questa? Piazza Sant’Agostino, piazza Sant’Agostino, benissimo, precisamente piazza Sant’Agostino, il locale si chiama vineria Ciao dal Chiodo, okay, perfetto, il Chiodo sarebbe stato il babbo, il tuo papà quindi, il babbo che purtroppo adesso non c’è più, okay, e è stato lui che aveva questo sogno nel cassetto, falegname di professione da una vita, aveva la piccola bottega su a Colcitrone, la parte vecchia, storica della città, il su’ sogno era di fa’ l’oste e quindi nel 2006, quindici anni fa, riuscì a realizzare sto’ sogno, ha costruito tutto con le sue mani, okay, è iniziata ‘sta avventura, all’inizio, si chiama vineria appunto perché all’inizio era solo una vineria, okay, facevamo solo panini, vino, poi dopo, dopo qualche mese ormai che eravamo diciamo nelle spese, abbiamo deciso di fare anche la cucina, e quindi è partita proprio la trattoria vera e propria, la trattoria okay, il nome è rimasto vineria Ciao perché il nome era quello storico, quello dato dal tuo papà praticamente, dal tuo babbo, dal babbo, dal tuo babbo certo, e però ecco a oggi è una trattoria, oggi è una trattoria, a tutti gli effetti, sì.
Okay, ma quindi qual è quindi la differenza principale tra una vineria e una trattoria, e poi un’osteria no? Cioè più o meno osteria e trattoria sono la stessa cosa o sono cose diverse? Che cambia? Allora trattoria e osteria diciamo che sono all’incirca la stessa cosa, più o meno la stessa cosa, sì, okay, vineria è un pochino più differente, cioè? La vineria è proprio appunto un posto dove il vino la fa da padrone, però ecco dopo si può mangiare anche qualche affettato, qualche formaggio, però non c’è una cucina vera e propria, okay quindi più per stuzzicare diciamo la vineria? Sì, un..aperitivi, si va in vineria per stuzzicare, sì, okay, okay, invece la trattoria e l’osteria sono proprio posti, si mangia, si possono chiama’ ristoranti ecco, dove si mangia, okay, però ristoranti a un livello molto più casalingo, molto più casareccio, più semplice la cucina, l’ambiente, il servizio, una cosa più informale, okay, ho capito, magari più autentica anche. Sì, secondo me è molto più autentica, sicuramente è una cosa più verace, esatto, una cosa più, più ruspante, più vera, più vera, più famigliare, più vera, certo, e infatti io anche quando viaggio no, anche, sono italiana, certo, però quando viaggio e mi sposto e vado a vedere altri luoghi, cioè io preferisco sempre andare a mangiare nelle trattorie e nelle osterie perché, son’ quelle più caratteristiche, esatto cioè trovi il tratto caratteristico della zona, della città, del cibo del luogo, cioè magari nel ristorante sì c’è anche, però magari è più elaborato, è più trasformato capito? Quindi è un pochino più diverso. Invece quando vieni in questi luoghi, cioè sai che provi il vero cibo italiano, assolutamente. E infatti, e infatti come ti avevo già detto prima, cioè quando sono arrivata ad Arezzo questo è stato il primo luogo dove sono venuta a mangiare la sera, e ti ringrazio di questo, e l’ho scelto perché ho visto, innanzitutto sì ho visto tutte le recensioni, cibo buonissimo, si mangia bene, eccetera, quindi già quello è stato il primo punto, però poi ho visto le foto del posto e ho guardato il locale e ho detto, “no, okay, andiamo qui, perché qui si mangia bene!”, perché come, come era strutturato il locale, piccolino, accogliente, anche la tipologia dell’arredamento con tutte queste cosine appese al muro di cui poi dopo parleremo, cioè ho detto “okay qui si mangia bene, via, andiamo!”, e infatti è stato così, cioè non avete assolutamente deluso le nostre aspettative, eh questo è importante eh?! Assolutamente, anzi è fondamentale perché è importante attrarre il cliente, ma la cosa più fondamentale dopo è fargli trovare veramente quello che si aspetta di trovarvi, esatto, esatto, non deluderlo, ecco perché l’aspettative ci sono però l’importante dopo è il contenuto, esattamente, la sostanza, la sostanza è la cosa fondamentale, la sostanza, io lo dico sempre, esatto, le forme contano, però se non c’è dopo la sostanza tutto può essere, è relativo, esattamente, okay, benissimo, ma quindi ritorniamo un attimo al nome del locale, Ciao dal Chiodo, il Chiodo era il tuo papà, il Chiodo era il babbo sì, quindi il Chiodo è un soprannome, è un soprannome, è un soprannome, a Arezzo sono molto usati i soprannomi, usatissimi, abbiamo tutti un soprannome e spesso tanti non sanno neanche come ci si chiama di nome, e il Chiodo è il soprannome del mi’ babbo, io ero il Chiodino, il Chiodino figlio del Chiodo, ecco il figlio del Chiodo, ad Arezzo addirittura la Semenza, perché la semenza è il chiodino piccolo per i tappezzieri, quelli che usano i tappezzieri, quindi mi chiamavano il Semenza quando ero proprio piccolino, e il mi’ babbo era falegname, e per questo, quindi penso che sicuramente il nome, il soprannome, associato, era dovuto a quello, e vineria Ciao perché lo Ciao deriva da lo Ciao club che era il gruppo che aveva il mi’ babbo quando erano giovani, il gruppo de’ l’amici, il gruppo degli amici, sì, okay, il Ciao era il nome del gruppo quindi, era il nome del gruppo Ciao club si chiamava, Ciao club, ho capito e da lì poi quindi il tuo papà ha dato questo nome, il mi’ babbo ha voluto fare onore a, a questa cosa e l’ha chiamato Ciao, okay, molto bello, anche perché il nome, in Italia insomma Ciao è un, è una delle nostre, aiutami te come si può dire, la, come dire, un elemento che usiamo sempre per salutare le persone, il Ciao tu dici? Sì, ecco Ciao, come, come formula di saluto, perfetto, in quel senso, è una cosa molto, certo, sì, sì, sì, sì, usata da noi, okay, okay, io all’inizio, la prima volta ho pensato al Ciao il motorino quello lì…no, no, però ecco sì, pensavo fosse un riferimento al motorino Ciao perché magari era molto più, e invece no è proprio il nome di, di un club, sì, di un club che quelle son le foto, okay ci sono le foto, va bene, sì tanto queste poi le mostrerò nel video che accompagnerà questa intervista, così magari diamo…un gruppo d’amici degli anni Settanta, degli anni Settanta okay, perfetto, benissimo, e qui il mi’ babbo come ti dicevo prima ha costruito tutto lui essendo falegname, lui diceva sempre “io questo locale ce l’avevo in mente prima già di aprirlo”, già sapeva come doveva venire, come doveva strutturarlo, come doveva essere già lo sapeva, quindi ha costruito tutto lui? Tutto! Cioè tutto quanto, tutto quello che vediamo intorno, come vedi attaccapanni, mensole, le bottigliere per il vino, ha fatto tutto lui, okay, perfetto, i tavoli di marmo proprio alla vecchia maniera a osteria, sì, sì, e anche, quindi si vede che insomma c’è la mano artigianale, okay, ho capito, e anche appeso al muro ci so’ tutti i ricordi, poi il mi’ babbo, falegname, faceva le cornici, quindi tutti i quadri, tutta roba che incorniciava lui, okay, perfetto, e in più c’è un sacco di elementi che richiamano al Saracino, il Saracino, alla Giostra del Saracino che noi, okay, è il nostro pane quotidiano, okay, benissimo, noi siamo nati nel quartiere, il mi’ babbo uguale, siamo famiglia di quartieristi e siamo veramente appassionati per il Saracino, okay, e quali, quali elementi ci sono che riman., richiamano, la giostra del Saracino che, brevemente fammi spiegare perché…in realtà questa intervista uscirà dopo la seconda parte del podcast quindi, del docu-podcast, quindi magari chi ci ascolta avrà già visto quella seconda parte di cui ti ho parlato dove appunto ho introdotto la storia del Saracino, della giostra eccetera eccetera, quindi la Giostra del Saracino è un evento storico giusto? Una rievocazione storica, una rievocazione storica benissimo, di cosa brevemente, diciamo, cosa rievoca questa, questa giostra del Saracino, allora, la giostra del Saracino rievoca, si rifà al XIII secolo all’incirca, XIII/XIV secolo, quando in Italia c’erano le invasioni dei saracini appunto, okay, certo, dei saraceni, e infatti sarebbe la lotta di questi quattro quartieri contro il saracino, contro il saracino, che è rappresentato dal buratto, che nello scudo tiene un tabellone con un punteggio da uno a cinque, la città è divisa in quattro quartieri, e questi quattro quartieri si sfidano, con due giostratori per quartiere, si devono lanciare con il cavallo con la lancia a resta contro il buratto, il quartiere che nei due, nelle due carriere totalizza il punteggio più alto vince la lancia d’ora, okay, benissimo, che è il premio della giostra, è il premio della giostra, sì, bene e quindi tu, quali sono gli elementi in questo ristorante che, in questa osteria, che richiamano il Saracino? Cosa, cos’è Giostra del Saracino qui?
La lancia che è la lancia con cui si corre la giostra che sono lance originali che queste che hanno corso la giostra, okay, una addirittura è degli anni Sessanta, l’altra è un pochino più recente, okay, c’è il cartellone, ecco qua il tabellone, originale, con un tiro, sì, sì, sì, sì, quello è un cinque fatto ovviamente da, dalla tua contrada, dal quartiere, dal tuo quartiere, si chiamano quartieri, quartieri giusto, io, ci teniamo noi aretini, certo, io mi confondo col Palio di Arezzo, ecco, di Siena, di Siena giusto, mi confondo col Palio di Siena, quindi QUARTIERI non CONTRADE, ad Arezzo sono quartieri, ci teniamo a questa, a questa distinzione, certo, giustamente, giustamente, e infatti vedo c’è il puntino nero quindi quello è stato colpito proprio al centro, sì perché in cima alla lancia viene messo un gommino che viene inchiostrato prima, quindi al momento che colpisce nel tabellone lascia il segno, okay, dove colpisce, il tabellone ha un punteggio da uno a cinque come dicevo prima, il punteggio più alto è il cinque che è il centro, e quello sì è un cinque, vanno misurati i punteggi perché ovviamente ci sono le discussioni perché chiaramente se il punteggio è nel mezzo, in un rigo tra un punteggio e l’altro, certo, c’è da discutere, c’è la giuria apposta che decide, il giudizio della giuria è inappellabile però insomma tutte le volte, bisogna fare questa decisione, bisogna prendere questa decisione ecco, sì, e ci sono delle discussioni che sono il bello del Saracino, il bello del saracino è proprio la passione che c’è nei quartieristi, nei quartieri in piazza in quel giorno, e quindi anche queste discussioni, fanno parte della Giostra del Saracino, è il sale della Giostra, è il sale della Giostra, bene, ma ho visto qui una foto, tu in costume, sì, c’è una foto tua, sì, sì, sì, che costume stai indossando in quella foto? Allora lì faccio il palafreniere al capitano del quartiere, che tra l’altro è un mio grande amico, siamo nati insieme, e il palafreniere al capitano, ogni quartiere ha un capitano, che il capitano ha il compito di, proprio di decidere, di gestire la giostra, di decidere chi tira per primo, per secondo dei giostratori, di controllare tutti i figuranti in piazza, ecco ogni quartiere ha sessanta figuranti all’incirca, quindi anche questi figuranti vanno anche un po’ tenuti, a bada, a bada, e quindi ecco lì facevo il palafreniere al capitano, il palafreniere sarebbe lo scudiero, lo scudiero, okay, okay, quindi ti occupavi del cavallo praticamente, sì, quello che porta il cavallo al cavaliere, e quindi il cavaliere invece, no il capitano del quartiere gestisce semplicemente e controlla tutti gli altri membri del quartiere, sì, questo è il suo ruolo, prende le decisioni nel quartiere, prende le decisioni, okay, un mini, un sindaco, un diciamo, quasi un sindaco, sopra al capitano prima magari che avrebbe più il ruolo del sindaco c’è il rettore, il rettore, il rettore è la prima figura del quartiere, è colui…ha le responsabilità anche legali, è il rappresentante legale del quartiere, ecco appunto come hai detto te il sindaco, si potrebbe identificare nel rettore, ecco quindi il rettore è il sindaco, il capitano è colui che ha la gestione più pratica, più tecnica della giostra ecco, si occupa più della Giostra, degli aspetti in piazza del giorno del Saracino, è una figura più, più vicino, alle persone diciamo, alle persone sì, agli abitanti del quartiere, ho capito benissimo, e altre cose che ricordano, che rimandano alla Giostra che sono presenti qui sulle mura, sui muri del, dell’osteria? Magari poi dopo posso filmare.
Qui c’è un bel quadro, un bel dipinto che rappresenta Arezzo medievale del 1300, dove si vede appunto la piazza Vasari, dove si corre il Saracino, all’epoca non c’erano ancora le logge del Vasari, okay, va bene, quindi nient’altro, okay ma quindi…sì c’è…ah! E il manifesto là del Navarese, scusa, quello sarebbe il manifesto originale della giostra del Saracino che viene affisso tutti gli anni in giro per la città, ho capito, quindi il manifesto, là c’è un’altra bella foto che risale al 71’, al 1971, lì, quella là, nell’angolo sì, sì, sì, sì, vedo, dove si vede proprio il momento dell’impatto del giostratore sul buratto, okay, perfetto, e quindi, in generale, cioè questa, questa Giostra no, in generale, per gli abitanti di Arezzo che cosa rappresenta? Cioè per te che cos’è questa giostra?
Secondo me il Saracino è il fiore all’occhiello della città di Arezzo, cioè una cosa, più rappresentativa della città, anche nel suo modo d’essere, degli aretini, proprio nel Saracino rievocano il loro, le loro radici, il loro passato, la loro cultura ecco, okay, è importantissimo il Saracino per Arezzo, okay, ho capito, in che senso “il modo di essere degli aretini”? Sì, appunto! Che cosa intendi con “modo di essere degli aretini”? Eeeeh Dante ci chiamava Botoli ringhiosi, botoli ringhiosi! Eh sì, in piazza quel giorno lì ecco…viene fuori tutta l’aretinità che abbiamo dentro, okay, ho capito, anche nella sana rivalità che abbiamo tra noi quartieri, che poi ci conosciamo tutti, siamo tutti amici perché Arezzo è anche piccola, io tra l’altro ho tantissimi clienti amici degli altri quartieri che vengono a mangia’ da me, e questo mi fa molto piacere, quindi diciamo non è come a Siena dove a volte, come dire, c’è proprio questo contrasto che sfocia nella violenza tra i vari, tra le varie contrade, allora il giorno della Giostra ognuno tende a stare a casa sua, va bene, certo, detta fra noi, il giorno del Saracino ognuno sta, sta nel suo, però ecco non c’è una violenza esagerata, esagerata nel vero senso della parola, c’è una rivalità sana che a volte in piazza può sfociare anche in delle baruffe, chiamiamole scaramucce, però ecco finiscono lì eh? Finiscono lì, il giorno dopo poi si va a bere insieme, okay, quindi è tutto limitato al giorno della Giostra, poi dopo tutti amici come prima diciamo. La cosa fondamentale è che ci sia sempre il rispetto, certo, delle persone, perché lo sfottò che è, la goliardia, che sono le cose su cui si basa il Saracino e che sono sempre le benvenute e sono anche divertenti, fanno bene al Saracino, però ci deve essere sempre il rispetto delle persone, degli avversari come, come sempre nella vita. Certamente, okay. Si può sempre dire la nostra idea però sempre rispettando gli altri, sempre rispettando gli altri, questo è fondamentale, okay, ho capito.
E so che durante il Saracino sono organizzate delle cene, ma sono organizzate qui nelle osterie o sono organizzate per strada queste cene? Sono organizzate dai quartieri, dai quartieri, ogni quartiere nel proprio spazio, nella propria piazza principale del quartiere organizza delle cene tutta una settimana in realtà, in pratica la settimana prima della giostra, che inizia dalla domenica prima quando ci sono le estrazioni delle carriere, che in pratica, in poche parole vengono estratti l’ordine in cui i quartieri corrono, vengono fatti giurare i capitani, giura il maestro di campo, vengono estratte le lance con cui si correrà la Giostra, ecco e da lì in poi inizia la settimana del quartierista, in cui ogni quartiere si organizza come può con cene, musica, stand, bar, tutta la settimana, cerca di accontentare un po’ tutte le fasce d’età, ci sono cose per i bambini, per i giovani, per i meno giovani, okay, ho capito, e quindi è bello veramente, ogni quartiere si autogestisce in questo e anche questo è una parte importante del quartiere perché richiede un impegno a monte…importante, importante perché più passano gli anni poi più ci sono persone quindi aumenta sempre più il giro del quartiere, le cene, fino a vent’anni fa si parlava di cene di 300, 500 persone, oggi siamo a mille persone, WAO, siam’ tanti, mille persone in una sera, da gestire son’ tante, da gestire, è tutto volontariato e quindi è tutto manovalanza dei quartieristi che che lo fanno per pura passione, certo, certo, e quindi insomma l’impegno è tanto, l’impegno è tanto, però la soddisfazione è enorme, soprattutto se poi, soprattutto se poi s’arriva al giorno della Giostra che si riesce a portare a casa questa benedetta vittoria, certo, allora tutto è ripagato, tutti gli sforzi fatti precedentemente per organizzare tutto, si dimentica tutto, si pensa solo alla vittoria, la fatica sparisce, esatto, già la fatica sparisce perché è un piacere farlo, uno lo fa per il quartiere, se poi dopo arriva in fondo alla settimana e si vince, ancora meglio, è stato perfetto, ancora meglio, non è mancato niente, certo, mi piace questa cosa perché si crea un senso di comunità nei quartieri, perché magari, un quartiere è una piccola comunità, perché magari si tende un po’, anche quando si vive nella stessa città, no, si tende magari a non parlarsi l’uno con l’altro, perché non ci sono più dappertutto, parlo in tutte le parti d’Italia, queste, queste cose di riunione con tutti i membri del tuo quartiere, cioè, per esempio, se io dovessi dirti nel mio quartiere, nel mio paese giù al sud cioè conosco veramente pochissime persone, non ci sono quei momenti in cui ci riuniamo tutti perché c’è un motivo per stare tutti insieme, non esiste, invece questa è una cosa che apprezzo molto di queste cose che vedo tantissimo in Toscana, ho visto tantissimo in Toscana, cioè non solo nelle città dove ci sono questi eventi come il Palio, come la Giostra, ma anche nei piccoli paesi, ho visto che ci sono queste riunioni di tutti gli abitanti della città, del paese, e si sta tutti insieme, secondo me questo crea un grande senso di comunità, molto, secondo me, sono d’accordissimo, ed è bello perché unisce tutti, giovani, non giovani, piccoli, non piccoli, ed è una cosa bella, e bello e poi perché si tramanda anche, esatto, anche io ho un figlio di otto anni e cerco di tramandargli questa passione, lo porto al quartiere perché così si inizia a viverla, vivendo direttamente nel quartiere, e è veramente bellissimo! Okay, sono pienamente d’accordo.
E quindi, cioè cosa cambia qui nell’osteria nel periodo della Giostra? Non lo so, ci sono…bah fondamentalmente qui cambia poco, cambia poco, io, come vedi, ecco, i fazzoletti dei quattro quartieri ce l’ho tutti, tutto l’anno, io sono un quartierista di Colcitrone e però giustamente il locale per la par condicio ci so’ tutti i fazzoletti, tutti i fazzoletti, come è giusto che sia, come ho detto prima vengono tanti anche clienti, ho tanti clienti degli altri quartieri, e questo me fa molto piacere, e quindi, durante il Saracino ecco magari può capitare di trovare delle tavolate di ragazzi dei quartieri che possono fare anche dei cori, cantano, festeggiano, quindi è più, più viva, più viva sicuramente, come tutta la città del resto, quando c’è la giostra si vede la città che…ci son’ tutte le bandiere in giro, si sente l’aria diversa.
Ma quando c’è la giostra quindi togli le altre bandiere avversarie o le lasci sempre? No, no, no, ci son’ sempre. Qui dentro siamo di tutti, no siamo, insomma qui dentro…rispettiamo tutti i quartieri. Sì, mi sembra giusto così, okay, ho capito, dopo tanto ognuno giustamente è del suo, tutti sanno che io so’ di Colcitrone però ecco, il lavoro è lavoro, quando vengono a mangia’ qui io li servo tutti allo stesso modo, Colcitrone o gli altri tre quartieri, okay, ma quindi a proposito di servire quindi, parliamo un po’ del menu, no, di questo posto, che cosa offre il menù, quali piatti tipici della tradizione toscana? Quali sono questi piatti tipici?
Facciamo, offriamo un menù tipico, ‘na cosa, cerchiamo di fare una cosa più familiare possibile, più semplice possibile, e offriamo i piatti della nostra tradizione che possono essere la trippa, i grifi, i fegatelli di maiale, l’anatra, anzi la nana e il coniglio in porchetta, perché a Arezzo l’anatra si chiama nana, la nana okay, la nana sì, facciamo la pasta fatta in casa, i topini che sarebbero gli gnocchi, però a Arezzo si chiamano i topini, gli gnocchi di patate praticamente, gli gnocchi di patate, gli gnocchi di patate a Arezzo sono i topini, gli gnocchi al sugo di nana, appunto, le tagliatelle, i maccheroni, facciamo ecco tutte cosine così, più semplici, le polpette fatte dalla mamma, ecco, polpette che, di cui avete parlato anche nell’episodio di 4 RISTORANTI perché voi avete partecipato a 4 RISTORANTI, il programma di Alessandro Borghese, sì abbiamo partecipato a 4 RISTORANTI con Alessandro Borghese, ecco, racconta un po’, raccontami un po’ questa avventura che avete fatto!
È stata una bellissima esperienza che francamente non avremmo mai pensato di vivere, nella vita, anche quando lo guardavo in televisione tutto avrei pensato meno che mi sarebbe capitata a me questa, certo che saresti stato tu in televisione, sì e infatti quando so’ stato contattato pensavo che era ‘no scherzo addirittura e però ecco so’ stato felicissimo di partecipare alle selezioni e al momento che poi ci hanno scelto siamo veramente rimasti a bocca aperta, contenti, e abbiamo deciso di fare, di farci vedere quello che si fa tutti i giorni, c’era un tema che era il medioevo, noi abbiamo deciso di tralasciarlo un po’ perché abbiamo preferito fare quello che facciamo tutti i giorni e quindi non abbiamo cambiato niente, abbiamo fatto le solite cose che si fa tutti i giorni, siamo andati proprio liberamente fuori tema, siete stati voi stessi diciamo, l’abbiamo fatta in un modo molto artistico diciamo, l’abbiamo interpretata a modo nostro, però devo dire che il risultato è stato, ha superato le nostre aspettative, è stato eccezionale, pensavo, si pensava di far bella figura perché vedo che la gente qui è sempre contenta, poi c’è sempre l’eccezione che è giusto che ci sia però ecco diciamo che lavoriamo, la maggior parte, la maggior parte dei clienti escono soddisfatti, certo, e quindi si disse “se si fa quello che si fa tutti i giorni, ci dovrebbe veni’ bene”, e è venuto benissimo, è venuto benissimo, certo, ha superato le nostre aspettative, certo, certo, ma infatti quali erano gli elementi del menu che non erano medievali diciamo, che vi hanno criticato in questo episodio?
E giustamente ci hanno contestato che nel medioevo non c’erano le patate, non c’era il pomodoro, perché non era ancora stata scoperta l’America, e quindi, però io, cioè, allora non ci dovevano essere neanche le luci accese e tante altre cose e quindi insomma siamo sempre nel 2020 come ho detto anche in televisione, e quindi medioevo sì ma fino a un certo punto, fino a un certo punto, secondo me, poi gli altri che l’hanno voluta interpretare in modo più scrupoloso hanno fatto benissimo e sono stati anche molto bravi, però noi abbiamo preferito farla a modo nostro, e invece questo episodio dei fagioli? Perché mi ricordo nell’episodio! Anche quella appunto!
Noi usiamo i fagioli zolfini, che sono un prodotto di altissima qualità per il nostro territorio che è una cosa che abbiamo noi qui in Toscana, ricercatissima, sono speciali proprio come, come tipo di fagiolo, e però dicevano che nel medioevo non c’erano, quindi c’erano i fagiolo dall’occhio, e quindi con questi fagioli dall’occhio, noi i fagioli si eran’ messi un po’ dappertutto come è giusto, nei piatti dove ci devon’ essere, come la ribollita, una pasta e fagioli, e quindi ‘sti fagioli, Borghese è entrato anche in cucina a un certo punto che è entrato e la mi’ mamma, Borghese è un omone, grande, grosso, e quando è entrato in cucina alla mi’ mamma gli ha chiesto “ma ‘sti fagioli dall’occhio?”, e la mi’ mamma gli ha detto “ah, io no lo so’ guarda”.
Ma i fagioli dall’occhio sono quelli con la parte nera sotto no? Perfetto, questi so’ dall’occhio, son’ quei fagiolini con quell’occhietto, però non mi ricordo come si chiamano perché dall’occhio forse, penso che sia un termine più locale, io francamente l’ho sempre sentiti chiama’ così, dall’occhio, fagioli dall’occhio, proprio perché c’hanno questo occhietto nero e sembra l’occhiolino, io l’ho sempre sentiti chiama’ così, sì devo fare una ricerca perché io non mi ricordo come si chiamano questi perché magari sai il cibo ha sempre dei termini più locali, per esempio no, prendi il famoso boccaccio che non esiste nell’italiano, però noi al sud diciamo il boccaccio per dire il contenitore, e magari quando tu dici “voglio un boccaccio di…” ti guardano “cosa? Un boccaccio di? Cosa?”, quindi magari ecco le cose legate al cibo sono sempre più locali, poi farò una ricerca e vedrò come si chiamano e insomma, e quindi questa esperienza dei 4 RISTORANTI, diciamo, hanno criticato questa assenza, questa presenza di prodotti che non c’erano nel Medioevo, diciamo, però in generale è stata una bella esperienza per voi, in generale è stata una bellissima esperienza, so’ rimasti, anche Borghese è rimasto contentissimo del cibo che gli si è dato, di quello che ha mangiato, me lo disse anche in diretta, disse “anche se non hai fatto il medioevo ho mangiato bene”, ecco e è quello che alla fine, vi importa, è quello che ci interessa, perché la cosa che conta è mangiar bene, qui si viene per mangiare, poi dopo tutto conta, conta anche l’oste, l’oste fa il locale secondo me, cioè l’oste deve essere bravo, deve essere una persona che sappia stare in mezzo alla gente, che sappia appunto fare l’oste, cioè far star bene le persone, il locale deve essere bello, deve rappresentare quello che insomma l’oste cerca di…deve avere una personalità il locale, però alla fine quello che conta soprattutto è il mangiare, il mangiare, certo, il cibo, e quindi, quindi, come ultima domanda…dicevo che, della sostanza, della sostanza esatto, quello che conta è il mangiare, è mangiare bene, perché si viene qui, e l’oste è bravo, è simpatico, il locale è bello, ma alla fine se mangia male, eh uno dice “guarda, sei bravo ma ‘nsomma, cambia lavoro”, perché alla fine dai da mangiare quindi ecco il mangiare è la cosa che conta di più di tutti, certo, dopo ecco, tutto il resto è relativo, poi se si mangia bene e poi c’è anche tutto il resto meglio ancora, meglio ancora, ecco nei 4 RISTORANTI quello che conta secondo me è infatti come tutti i giorni è il mangiare, se poi dopo ero fuori tema francamente, chi se ne frega, eeeeh, pazienza, pazienza, esatto, esatto, ma quindi, quindi quali sono i valori di questo posto? I valori che tu vuoi trasmettere ai tuoi clienti?
La prima cosa è sicuramente l’attaccamento, la cosa famigliare, che questo locale che era il sogno del nostro babbo, a cui credeva tantissimo, il mio babbo era falegname quindi faceva tutto un altro lavoro, anche io ero falegname, a livello più industriale rispetto al mi’ babbo, però ecco venivamo da tutto un altro mondo, certo, e quindi ecco questo lavoro, questo lavoro lo facciamo con grande passione, quello che cerchiamo di trasmettere tutti i giorni appunto è questa passione, ma soprattutto la semplicità, ci riteniamo persone semplici, veniamo da, so’ nato qui nel quartiere, qua dietro proprio, vengo dal quartiere di Colcitrone, siamo persone semplici come dicevo e quindi ecco, cerchiamo di rispettare questa semplicità e di farla vedere, senza fare cose che tanto non saremmo, forse non saremmo capaci di fare, a fare cose troppo in grandi, certo, essere voi stessi semplicemente, essere noi stessi, perché essere sé stessi nella vita sembra facile ma a volte è la cosa più difficile, porca miseria, porca miseria assolutamente.
Sui valori del locale, della vineria, la nostra storia, il Saracino che tutti i giorni qui se ne parla di Saracino, anche di Arezzo, i valori della nostra città, della nostra storia, come vedi c’è anche tante belle cose che richiama la storicità della città, il nostro anche essere così ruspanti, tipici, e per far conoscere alle persone che vengono da fuori Arezzo la nostra aretinità di cui bisogna andare sempre fieri, perché essere aretini è veramente ‘na bella cosa, cioè ad Arezzo, non gli manca niente a Arezzo per essere una grande città a livello mondiale.
Ma sì, fa parte, fa parte dell’intervista questo rumore, siamo in un ristorante, c’è la cucina, ci sarà il rumore anche, non ti preoccupare, se c’è il rumore della cucina penso che sia normale, certo, certo, ma invece, ultima domanda che ti faccio: cosa c’è invece di italiano?
A qui di italiano, cosa c’è di italiano in questo locale, esatto, quali sono le caratteristiche italiane, no?
Secondo me questo locale è proprio caratteristico italiano e forse da fuori, vedendo un po’, girando, quando vado un po’ in giro, anche in altre città d’Italia, o anche nel mondo, magari ecco tanti locali, questo locale forse per uno straniero, ecco questo locale si vede da fuori che è proprio tipico, cioè non ha molto richiami anche, non è turistico, oh ecco, voglio di’ questo! Non è turistico, cioè come quelle trappole per turisti e per stranieri che si trovano, certo, in tante città d’Italia, giusto, assolutamente, io cerco proprio di lasciarlo così ecco, di farlo, a volte magari da fuori per un turista può dare un impatto che non può comprendere bene, però ha l’anima proprio tipica italiana aretina, non è una trappola per turisti, penso di no ecco, no, decisamente no, decisamente no, perfetto, va bene, allora basta, abbiamo finito, abbiamo finito, basta così, ti ringrazio, ti ringrazio di questa chiacchierata, di averci fatto scoprire il tuo locale e…ti saluto, buona giornata e grazie mille, ti ringrazio, grazie a te Simona di avermi dato questa possibilità, sono stato molto contento che tu mi abbia scelto anche per venire a mangiare, come hai detto la prima volta che sei venuta a mangiare in un locale qui a Arezzo, mi fa molto piacere e spero di rivederti presto, assolutamente, certo, senza dubbio, bene, a presto, a presto!
CONCLUSIONE
La prima strofa della canzone di Guccini di cui vi ho parlato nell’introduzione dice:
“Sono ancora aperte come un tempo le osterie di fuori porta
Ma la gente che ci andava a bere fuori o dentro è tutta morta
Qualcuno è andato per età, qualcuno perché già dottore
E insegue una maturità, si è sposato, fa carriera ed è una morte un po’ peggiore”.
Mi piace molto questa idea della gente che non va più all’osteria perché è morta fuori, nel corpo, perché vecchia, o dentro, nell’anima perché è maturata, o ha fatto carriera, o ha messo su famiglia, morti queste, secondo Guccini, peggiori della morte vera.
E mi piace non perché considero queste tappe della vita come morti, assolutamente no, mi piace perché penso che questa strofa richiami il concetto di ‘osteria come luogo dove non prendersi troppo sul serio per un po’’, concetto di cui vi ho parlato all’inizio e concetto che penso sia fondamentale per capire l’Italia, nei suoi aspetti positivi e negativi.
E voi? Nei vostri paesi, avete qualcosa di simile alle osterie? Mi piacerebbe molto saperlo, quindi se volete condividete i vostri racconti con me nei commenti.
Io vi saluto e vi ringrazio per l’ascolto. Alla prossima!
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