Lingua italiana insieme
A New York sono stata presuntuosa
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🎙️Due settimane fa sono stata in viaggio a New York, in America, ed è stato, devo ammettere, veramente un bel viaggio. Un buon viaggio. Un buon viaggio nel senso che mi ha spostata dal centro in cui ero. Che cosa significa questa cosa? Significa che questo viaggio mi ha fatto cambiare prospettiva.
Due settimane fa sono stata in viaggio a New York, in America, ed è stato, devo ammettere, veramente un bel viaggio. Un buon viaggio. Un buon viaggio nel senso che mi ha spostata dal centro in cui ero. Che cosa significa questa cosa? Significa che questo viaggio mi ha fatto cambiare prospettiva.
Oggi voglio condividere con te il racconto di tre episodi accaduti a New York, durante i quali ho sentito emergere dentro di me una voce un po’ presuntuosa. Credo che questa voce sia emersa perché, appunto, mi trovavo in un contesto culturale molto diverso dal mio, molto distante dal mio.
Episodio numero uno: sono stata aggredita in metropolitana, verbalmente.
Episodio numero due: mi sono lavata le mani con il collutorio. Sì.
Episodio numero tre: sebbene il mio inglese sia di un livello intermedio-avanzato, ogni volta che ero in un bar e dovevo ordinare, mi facevo da parte e lasciavo questo compito al mio compagno Alex, inglese.
In questi tre episodi ho sentito emergere dentro di me questa voce un po’ presuntuosa. Quindi, nel video di oggi voglio parlare proprio di questo concetto: la presunzione, un atteggiamento che, inevitabilmente, si attiva, secondo me, quando entriamo in contatto con qualcosa di molto diverso da noi. Dopo essere tornata a casa dal mio viaggio, mi sono presa del tempo per elaborare ciò che era successo e per cercare di riflettere su questi tre episodi, che mi sono veramente rimasti impressi. Oggi, dunque, condivido con te queste riflessioni e ti invito, alla fine di questo video, a commentare quanto ascolterai per iniziare con me una discussione in merito a questo argomento.
Ripeto, come dico sempre: il mindset (parola inglese), la mentalità (parola italiana), con cui ci approcciamo all’apprendimento linguistico è fondamentale e può garantire il successo o l’insuccesso di un percorso di apprendimento. Riflettere su tutto ciò che riguarda la persona che impara una lingua straniera, che entra in contatto con la diversità, è fondamentale per raggiungere i propri obiettivi quando si studia una lingua straniera. E dunque, iniziamo con questa riflessione sulla presunzione.
Prima di raccontarti nello specifico i tre episodi e quindi condividere con te le riflessioni che hanno attivato in me, vorrei partire da un punto molto importante, e cioè da un’analisi e spiegazione della parola “presunzione”. Che cosa significa “presunzione”?
Innanzitutto, la parola “presunzione” deriva dal verbo “presumere”, assumere “pre”, che è il contrario del verbo “desumere”, cioè assumere dopo, in seguito a una deduzione. Il contrario di presunzione è, infatti, deduzione. Presumere, desumere. Presunzione, deduzione. Presumere significa giudicare prima di conoscere. Giudicare, esprimere, dunque, un giudizio a partire da preconcetti, pregiudizi. Questo elemento “pre”, vedi, significa “prima”: preconcetto, concetto che tu hai prima di conoscere qualcosa; pregiudizio, giudizio che tu hai prima di conoscere effettivamente quella cosa.
È un meccanismo mentale secondo cui io interpreto e do un significato a quello che vedo a partire da una conoscenza pregressa. “So che gli italiani sono maleducati.” Questo è un pregiudizio. Quando mi approccio agli italiani, penso che tutti gli italiani siano maleducati e non mi metto a osservare, analizzare e poi dedurre dalle osservazioni fatte che gli italiani sono maleducati. Vedi, la presunzione è questa: io so, conosco determinate cose su una certa cultura e con quelle cose do un giudizio su tutto, senza entrare nel contesto, analizzare, osservare e poi dedurre, fare le mie conclusioni.
Vedi come cambia il ragionamento?
Dunque, nei tre episodi che mi sono accaduti a New York e che oggi condivido con te, io mi sono comportata in modo estremamente presuntuoso. Iniziamo dal primo.
La metropolitana.
Non è una leggenda: il fatto che a New York la gente corra, che tutto sia veloce, è vero. Effettivamente vero. L’ho sperimentato soprattutto nella metropolitana, dove il flusso di entrata e uscita era velocissimo. Io sono una persona molto lenta, quindi, all’interno della metropolitana, molto spesso mi fermavo per capire dove andare, per capire cosa fare. E fermandomi, ho attirato su di me gli attacchi di molte persone del luogo, che erano di fretta, ma non erano di fretta: stavano semplicemente vivendo la loro vita di tutti i giorni, una vita veloce, più veloce della mia, che ero lì per fare turismo.
Dopo essere stata attaccata verbalmente varie volte, con frasi che non ripeterò qui, mi sono un po’ arrabbiata. In quel momento ho iniziato a pensare: “Madonna mia! Ma perché questa gente non si calma? Dovrebbero vivere diversamente, dovrebbero fare questo, dovrebbero cercare di comportarsi in questo modo, dovrebbero fare così, dovrebbero fare così.”
Quindi, in quel momento, in modo presuntuoso, ho iniziato ad adattare i miei schemi di vita alla vita di un’altra cultura, alla vita di altra gente che era lì e faceva cose diverse dalla mia. Chi sono io per dire agli americani di New York che devono rallentare? La mia vita è lenta. Il mio passo, nella mia città del sud Italia, è lento. La gente qui ha un ritmo di vita diverso. E chi sono io per dire che devono rallentare?
In quel momento, per fortuna, dopo questa piccola riflessione, ho iniziato a capire che dovevo controllare le cose della metropolitana prima di entrare e adeguarmi al passo delle altre persone che erano lì per vivere la loro vita. In un primo momento, ovviamente, mi sono sentita offesa da questi attacchi e la mia reazione è stata presuntuosa: stavo cercando, nella mia mente, un modo per insegnare a questa gente a vivere più lentamente. Ma chi sono io per farlo?
Ho capito subito questo meccanismo. Ho fatto un passo indietro, mi sono organizzata per tempo e, nella metropolitana, ho iniziato anch’io ad essere più veloce, adattandomi al ritmo di vita della gente del luogo.
Secondo episodio.
La figlia di un mio carissimo studente mi ha invitata nel suo ufficio, dove lavora a New York, per poter guardare la città dall’alto. Sono andata nel suo ufficio, abbiamo preso un caffè insieme, ho guardato New York dall’alto. Alla fine ci siamo salutate e io sono andata in bagno prima di andar via.
In questo bagno sono entrata e ho fatto quello che faccio di solito, in modo automatico. Sono andata in bagno, sono uscita, ho lavato le mani utilizzando la cosa più vicina a me: un liquido blu all’interno di un contenitore per il sapone. Quindi ho preso questo liquido, l’ho messo sulle mani e ho iniziato a lavarmi. Ma non faceva schiuma. Quindi ho riprovato. E non faceva schiuma. Ho riprovato ancora. E non faceva schiuma. Dopo un po’, mi sono chiesta: “Ma cosa c’è che non va?” Ho annusato le mani, e profumavano di collutorio, non di sapone.
Quindi ho osservato bene e mi sono resa conto che, vicino a questo oggetto per il sapone, c’erano dei bicchierini. Quello non era sapone, ma era collutorio. Ovviamente, qual è stata la mia prima reazione? Mi sono sentita stupida. E, sentendomi stupida, ho iniziato a dire: “Madonna mia! Ma perché fanno questa cosa? Non possono mettere un’indicazione? Collutorio qui, sapone qui! Perché fanno così?”
Questa è stata una reazione presuntuosa, perché io ho presunto che, come nel mio paese, accanto al lavandino ci fosse il sapone. Sono entrata nella stanza e ho automaticamente riprodotto tutte le azioni che compio in un bagno italiano. Quindi, dopo essermi arrabbiata all’inizio, ho iniziato a riflettere. Ho detto: “Ho sbagliato io. Mi sono dimenticata che, quando sono in un paese straniero, la prima cosa che devo fare, quando entro in un luogo nuovo, è leggere il luogo. Come se stessi leggendo delle indicazioni, capire il linguaggio di quel posto, le regole di comportamento di quel posto, e poi compiere l’azione che devo fare in quel luogo.”
Non devo presumere che un bagno americano funzioni come un bagno italiano. No. Devo entrare, leggere lo spazio, guardare quello che fanno gli altri, analizzare e poi compiere le azioni che devo compiere in quel luogo.
Terzo episodio.
Come sai, e se non lo sai, adesso lo scoprirai: il mio compagno è inglese. Durante le mie giornate, ogni giorno, io parlo in inglese. Siamo insieme da quasi sei anni. Dunque, da sei anni, ogni giorno della mia vita, mattina, pomeriggio e sera, parlo inglese. Grazie a ciò, ho raggiunto un livello discreto, intermedio-avanzato. Riesco a capire tutto quello che ascolto, riesco a partecipare a una conversazione a tavola con altre persone, anche su argomenti più complicati. Quest’anno, per la prima volta – e ne sono felicissima – riesco a leggere un libro in inglese, capendo almeno l’80% di quello che leggo. Sto facendo dei progressi.
Ma sono arrivata a New York e, quando dovevo ordinare un caffè o qualcosa ad un bancone, freeze. Mi congelavo. Allora guardavo Alex, il mio compagno, e gli dicevo: “Dai, fai tu.” Mi facevo da parte e lasciavo che Alex ordinasse i caffè, ordinasse al ristorante.
Allora, qual è stata la presunzione in quel momento? La presunzione è stata non considerare che ero in un ambiente diverso, in un ambiente straniero, cosa che mi faceva sentire vulnerabile. Ed è normalissimo. Era la prima volta in America, dovevo ancora imparare tante cose su questa cultura, sul modo in cui le persone si muovono nei luoghi. Ero lì e mi sentivo vulnerabile, ovviamente, in modo assolutamente normale.
Inoltre, c’era la pressione della gente dietro di me, perché, ripeto, New York è una città molto veloce, e io questo stress lo sentivo, questa ansia la sentivo, questa ansia di “dover fare per forza”. Ovviamente il luogo era rumoroso, quindi, oltre alla voce della persona che mi chiedeva cosa volessi, c’era anche il rumore di sottofondo della gente che parlava, seduta ai tavoli accanto a me, dietro di me. Tanti erano i fattori che creavano dentro di me una forma di stress, una forma di pressione.
Allora, la mia presunzione in quel caso quale è stata? È stata quella di credere che, poiché il mio livello di inglese è ormai ad un certo livello, io potessi tranquillamente ordinare e interagire in un contesto di vita reale, lontano dalla mia casa, dove siamo io e Alex che parliamo inglese, lontano dai miei luoghi familiari. Ad esempio, conversazioni a tavola con la mia famiglia inglese.
Quindi la mia presunzione è stata quella, in quel momento.
Riflessioni generali.
Quali sono le riflessioni legate a questi tre episodi che mi sono accaduti a New York e che voglio condividere con te in merito alla presunzione? Appunto:
Siamo vulnerabili.
Quando, sebbene parliamo la lingua, siamo in un paese straniero, abbiamo un senso di vulnerabilità. Ed è normale. È umano. Accidenti, estremamente umano. Quindi, secondo me, è importante capire questa cosa, essere consapevoli di questa cosa e, invece che reagire arrabbiandosi o, per esempio, iniziando a pensare che le cose in quel paese debbano cambiare e che, quindi, le persone del luogo debbano comportarsi come noi, avviare una riflessione. Cercare, anzi, di analizzare l’ambiente, fare una deduzione e magari adeguarci, in quel momento, alle regole del luogo. Poi torniamo alla nostra vita, nella nostra cultura, nel nostro paese, e viviamo secondo le nostre regole. Assolutamente. Ma in quel momento è un esercizio, secondo me, di grande apertura mentale.
L’episodio del bagno.
Per me è la dimostrazione di come l’apprendimento linguistico sia qualcosa di molto complesso, che non riguarda solo le regole grammaticali, la lingua, il lessico, il vocabolario, eccetera, ma riguarda veramente queste cose: qualcosa legato al modo in cui la cultura di quella lingua che stiamo imparando vive lo spazio, interagisce nello spazio. Da qui l’importanza di conoscere queste cose. Quando, dopo aver studiato la lingua, andiamo a visitare questo paese straniero, significa conoscere la cultura della lingua, analizzare anche questi aspetti. A volte ce ne dimentichiamo, ma è importante ricordare sempre tutto ciò.
L’episodio del bar.
Dopo aver capito quella cosa, dopo aver realizzato la mia vulnerabilità, che all’inizio non volevo accettare – perché questa era anche un po’ una forma di presunzione, “com’è possibile? Parlo del romanzo che ho letto e non posso ordinare un caffè!” – mi sono arrabbiata con me stessa, sono stata un po’ presuntuosa, no? Non volevo accettare tutto ciò. Invece, dopo questa prima reazione, mi sono calmata e ho detto: “Ok, calmati. Sgonfia un po’ l’ego. Ti senti vulnerabile. Accettalo. Abbraccia questa cosa e, adesso, lentamente, con calma, inizia a fare anche tu quello che stai delegando ad Alex.”
Con calma, magari prepara prima il discorso, oppure mettiti di lato, osserva quello che dicono le persone, ascolta. Quando sei pronta e hai recitato nella tua testa la frase da dire, mettiti in fila come gli altri e fallo anche tu. Parla anche tu inglese in quella situazione. E così ho fatto.
Se, invece, avessi lasciato che l’ego, la vulnerabilità e la timidezza prendessero il sopravvento, io avrei sprecato un’occasione unica per poter mettere in pratica il mio inglese e rafforzare la mia capacità di sentirmi più sicura in un ambiente straniero.
Più deduzione e meno presunzione. Non bisogna presumere, ma bisogna desumere, quando siamo in un contesto straniero e quando impariamo una lingua straniera. Lo stesso vale per il metodo di studio, ma di questo ti parlo in modo più approfondito nella “pagina di diario dell’insegnante” della newsletter di questa settimana.
Se ti interessa approfondire questo concetto della presunzione legata al metodo di studio della lingua, ti consiglio di iscriverti alla newsletter. Lo puoi fare visitando il mio sito lernilango.com.
Quindi adesso ti lascio con due messaggi:
Messaggio numero uno. Abbiamo finalmente ufficialmente organizzato i viaggi di studio in Italia per il 2025. Io e la collega con cui collaboro per questo progetto: il primo si terrà in Puglia, il secondo in Sicilia. Se vuoi avere un’esperienza culturale autentica di immersione nella lingua e la cultura italiana, di nuovo ti consiglio di iscriverti alla newsletter. Nella newsletter di questa settimana riceverai tutte le informazioni sui viaggi di studio in Puglia e in Sicilia per il 2025.
Messaggio numero due. Sfrutta questo momento. Sfrutta i commenti su YouTube per fare pratica di lingua e per esprimere i tuoi giudizi, i tuoi pareri su questo argomento complesso. Condividi con me nei commenti le tue idee in merito a quello che ho condiviso con te oggi in questo video. In merito alle mie riflessioni: supera la vulnerabilità, supera la timidezza, supera la paura e scrivimi nei commenti.
Che dire? Grazie se sei arrivato/a fino alla fine, caro studente, cara studentessa. Noi ci sentiamo nel prossimo video con nuove riflessioni sull’apprendimento, il meraviglioso apprendimento di una lingua.
Ciao!
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