Date un po’ di informazioni necessarie sul contesto storico culturale nel podcast precedente, possiamo finalmente passare ora a vedere insieme il contributo che Alessandro Manzoni diede alla lingua italiana.
Manzoni è uno degli scrittori classici della letteratura italiana con cui, insieme a Dante, studenti e studentesse italiane vengono torturati per anni, a scuola. Alessandro Manzoni, infatti, è uno scrittore e poeta italiano noto soprattutto per il suo capolavoro, I promessi sposi , considerato uno dei romanzi più importanti della letteratura italiana.
Alessandro Francesco Tommaso Antonio Manzoni è nato il 7 marzo 1785 a Milano, in una famiglia aristocratica e colta. Suo padre, Pietro Manzoni, era un letterato e filosofo, mentre sua madre, Giulia Beccaria, era figlia di Cesare Beccaria, noto giurista e illuminista.
Manzoni crebbe in un ambiente culturale stimolante e ricevette un’educazione rigorosa. Mostrò precocemente un interesse per la letteratura e la poesia, componendo le sue prime opere già durante l’adolescenza.
Durante gli anni 1810 e 1820, Manzoni si avvicinò al Romanticismo, entrando in contatto con intellettuali come Ugo Foscolo e Byron. Tuttavia, il suo capolavoro, I promessi sposi , pubblicato tra il 1827 e il 1829, mostrò una fusione di elementi romantici e realistici.
Il romanzo narra la storia d’amore di Renzo e Lucia in un contesto storico turbolento, offrendo uno sguardo profondo sulla società e le sue ingiustizie.
L’opera I promessi sposi contribuì in modo significativo a stabilire la lingua italiana moderna, poiché Manzoni adottò uno stile narrativo più semplice e vicino al parlato quotidiano, contribuendo così all’armonizzazione linguistica dell’Italia.
Ma approfondiamo meglio questo concetto entrando nel vivo della questione linguistica.
Anche in questo periodo ci furono varie discussioni attorno all’uso linguistico, e varie furono anche le posizioni in merito a quale fosse la varietà di italiano più adatta ad essere lingua nazionale.
Ricordiamo che le discussioni sulla lingua, almeno fino a questo secolo, riguardano la lingua della scrittura, o meglio, la lingua scritta della letteratura.
Ricordato questo punto importante, passiamo a vedere le tre posizioni dominanti di questo dibattito.
La prima è quella purista che sosteneva un ritorno alla purezza originaria della lingua trecentesca (dunque alla lingua di Dante, Petrarca e Boccaccio).
La seconda è la posizione classicista, sostenuta da intellettuali come Vincenzo Monti, che proponeva una modernizzazione dell’italiano. Monti sosteneva l’idea che la lingua dovesse evolvere e arricchirsi e che non dovesse quindi limitarsi al solo fiorentino, ma accogliere termini ed espressioni provenienti dalle tradizioni linguistiche cittadine.
Infine, la terza e ultima posizione era quella romantica sostenuta da intellettuali come Ludovico Di Breme e Giuseppe Borsieri. Quest’ultimo credeva che una lingua letteraria comune dovesse nascere da uno strato culturale comune a tutte le fasce della società, dalle più umili alle più elevate.
Queste ultime teorie romantiche sulla lingua avrebbero trovato un sostenitore in Alessandro Manzoni.
Come visto precedentemente, l’unificazione politica dell’Italia sollevò una serie di problemi da risolvere, tra questi c’era anche la questione della lingua per cui il nostro Manzoni tentò di trovare una soluzione.
L’italiano all’epoca era praticamente una lingua morta, come oggi lo è il latino, esistendo solo nei libri e nelle opere letterarie. Al di fuori della Toscana, solo chi aveva ricevuto un’educazione letteraria conosceva l’italiano, il resto della popolazione della penisola, invece, da nord a sud, si esprimeva esclusivamente in dialetto. Nei ceti più elevati si usava inoltre parlare in francese, che aveva acquisito un grande prestigio culturale a causa del dominio francese in Italia.
La questione, abbiamo visto, era particolarmente complessa. I dialetti parlati nel regno d’Italia differivano considerevolmente l’uno dall’altro, rendendo difficile la comunicazione tra cittadini dello stesso stato.
Manzoni, nel 1868 ricevette dal ministro della pubblica istruzione, Emilio Broglio, il compito di presiedere due commissioni, una a Milano e una a Firenze, aventi lo scopo di trovare delle soluzioni pratiche per diffondere l’italiano in tutto il regno.
Al termine dei lavori, però, entrambe le commissioni avrebbero rifiutato le proposte di Manzoni, il quale, comunque, non si arrese, e poco dopo avrebbe pubblicato le sue proposte in un’opera intitolata Dell’unità della lingua e dei mezzi di diffonderla .
L’interesse di Manzoni per la questione della lingua risaliva a decenni prima, quando aveva avviato un intenso lavoro di rifinitura della lingua dei Promessi sposi (sua opera principale) a cui si era dedicato tra l’edizione del 1827 e quella del 1840: hai capito cosa significa quest’ultima cosa?
Manzoni dedicò circa dieci anni alla rifinitura linguistica del suo romanzo, dieci anni spesi a lavorare sulla lingua di un romanzo!
La questione della lingua gli stava proprio a cuore a questo buon signore.
Assodato ciò, vediamo allora più in dettaglio quali erano le sue idee linguistiche
Nella sua proposta, Manzoni chiedeva di diffondere e insegnare la lingua fiorentina nelle scuole elementari impiegando docenti fiorentini o ben educati all’uso del fiorentino e mettendo a disposizione di ogni classe un dizionario di fiorentino da consultare in caso di dubbio.
Partendo dalla sua esperienza letteraria, Manzoni sosteneva infatti che solo il fiorentino, tra tutti i dialetti parlati in Italia, avesse il prestigio culturale, storico e letterario necessario per imporsi sugli altri.
Per la seconda edizione di I promessi sposi , quella del 1827, Manzoni scrisse di essersi recato a Firenze per “risciacquare i panni in Arno”: l’Arno era il fiume della città di Firenze, e con questa frase
voleva dire di essersi recato a Firenze per ascoltare la gente e per ripulire così la lingua del suo romanzo adattandola alla lingua che sentiva, cioè al fiorentino.
Nella prima edizione del romanzo, intitolata Fermo e Lucia , molte parole, presenti invece nella seconda edizione, non compaiono, quindi molto probabilmente queste parole furono inserite dopo il suo soggiorno in Toscana, parole come sbraciare che significa “allargare la brace accesa”.
Molte sono anche le parole che invece scompaiono nella seconda edizione, parole più settentrionali, tra cui abbisognare (avere bisogno) e abbujare (farsi buio).
Insomma, che dire su Manzoni per avviarci alle conclusioni?
Le sue proposte non furono accettate, è vero, ma il suo intervento piantò dei semi che sarebbero sbocciati negli anni successivi, e da quei semi sarebbero nate altre proposte vincenti per omogeneizzare maggiormente la lingua italiana nella penisola.
La goccia che buca la roccia.
Ci vuole tempo ma le cose, se sono giuste, prima o poi trovano il modo di affermarsi.
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