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Il problema della tipicità: esistono ancora prodotti “tipici”?

Trascrizione

Prima di andare avanti nell’esplorazione dell’identità culinaria italiana, prima di vedere altri tratti di essa, in questo episodio vorrei soffermarmi su un problema legato al dibattito contemporaneo sui prodotti tipici, locali, doc (di origine controllata), dop (di origine protetta) eccetera.

In merito a tale dibattito, condivido la posizione degli autori del libro che ci guida mentre facciamo questo viaggio alla scoperta dell’identità culinaria italiana, ossia La cucina italiana. Storia di una cultura di Alberto Capatti e Massimo Montanari.

Il riscaldamento globale, il cambiamento degli ecosistemi, lo sviluppo delle biotecnologie, lo sviluppo delle tecnologie agricole, l’aumento della richiesta di certi prodotti, l’internazionalizzazione dei commerci, sono tutti fenomeni che hanno avuto un grosso impatto sui prodotti alimentari, sulla loro produzione e nel periodo in cui viviamo lo hanno maggiormente.

I limoni di Sorrento devono essere coltivati a Sorrento, e dai limoni coltivati a Sorrento si creano prodotti come marmellate, olii aromatici, frutta candita e chi più ne ha più ne metta, insomma le trasformazioni di un prodotto sono infinite.

Tuttavia, è possibile coltivare i limoni di Sorrento in altre parti d’Italia e del mondo, è possibile, e i prodotti creati da questi limoni non avranno lo stesso marchio ma avranno un mercato che creerà competizione al mercato dei prodotti fatti con veri limoni di Sorrento.

Allora cosa deve fare chi produce prodotti fatti con veri limoni di Sorrento? Alzare i prezzi, combattere, avviare campagne di bullizzazione contro i finti limoni di Sorrento?

Da quello che puoi notare, la risposta non è semplice soprattutto per certi prodotti che, a causa dei cambiamenti climatici, non possono più essere coltivati in una determinata zona origine della tipicità di questi prodotti.

Pensate al primitivo di Manduria, prodotto con uva della zona di Manduria: se il territorio cambia a causa dei cambiamamenti climatici e l’uva non cresce più, che bisogna fare? Non si deve produrre più primitivo? Come soluzione si potrebbero trovare altri territori italiani o esteri adatti alla coltivazione di quell’uva e così si eviterà l’estinzione dal mercato del primitivo di Manduria anche se l’uva usata non è più l’uva di Manduria. Si perderà la tipicità del prodotto e si creerà una nuova tipicità.

E lo stesso ragionamento si può fare per l’olio, per il grano, per le carni, per il vino.

Mortadella di Bologna con carni brasiliane; fiorentina con carni argentine; taralli pugliesi con farina spagnola; sottoli pugliesi con olio tunisino. Potrebbero essere nuove tipicità.

La situazione non è così catastrofica come sembra, gli interventi in questa direzione sono tanti poiché l’Italia vive di tipicità, e perderle significherebbe perdere un tratto centrale della sua identità.

Tuttavia, non vedo questa cosa come un problema, ma piuttosto come una sfida in direzione di uno stile di vita più ecosostenibile, cioè di uno stile di vita in cui chi produce, consuma e vende è consapevole degli effetti delle proprie azioni.

Inoltre, non vedo un serio problema nella nascita di nuove tipicità che potrebbero anche essere migliori delle vecchie tipicità.

Il mondo cambia, cambia l’uomo da quando è apparso sul pianeta terra, cambiano le abitudini, e se in virtù di questo cambiamento anche le tipicità dovranno farlo, beh, vedremo, è un peccato certamente, ma non si può bloccare il cambiamento, non si può invertire il senso di marcia degli eventi.

Sono certa che i prodotti tipici italiani di oggi sono diversi da quelli del Medioevo, molti non esistono più, molti si cucinano e si trasformano in modi diversi (pensa alla lasagna di bistecche).

Per quanto riguarda questo punto, dunque, ripeto, penso che l’evoluzione sia naturale, organica, inevitabile in certi casi, e se dal Medioevo ad oggi le cose sono cambiate, possono e devono continuare a farlo.

Ciò in cui invece credo e confido molto riguarda i consumatori più che i produttori.

Fintantoché non ci sarà una maggiore consapevolezza sul cibo e non ci si chiederà, prima di comprare, da dove viene, chi lo produce, come si produce, se si produce rispettando o non rispettando l’ambiente e gli esseri umani, certi cambiamenti saranno inevitabili.

Insomma, questo è secondo me un motore di cambiamento potente che può influenzare i mercati e i produttori di prodotti venduti in questi mercati.

Quindi, in conclusione, dico che non mi spaventano le nuove tipicità; tuttavia, credo che una maggiore consapevolezza del cibo possa aiutare a proteggere la meravigliosa diversità dei prodotti italiani.

Conoscere per proteggere, proteggere per scambiare con il resto del mondo.

Fatta questa per me importantissima sosta, passiamo al gusto nel prossimo episodio.

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