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 “L’Italia è sempre stata degli stranieri!”: umiliazioni storiche che ancora bruciano

A lungo l’Italia è stata dominata e governata dagli stranieri: questo è un altro motivo di vergogna. Ci sono delle umiliazioni storiche che ancora bruciano nel petto degli italiani e che è importante conoscere e capire per conoscere e capire meglio gli italiani.

Parlerò di tutto ciò in questo episodio.

Trascrizione

Caro ascoltatore e cara ascoltatrice, ormai abbiamo iniziato questo viaggio quasi 12 giorni fa, a questo punto ti ho già raccontato tante cose sulla mia benedetta assurda bella Italia (cito la canzone di Guccini, Cirano) e no, non ho ancora finito, ho ancora molto altro da raccontarti.

Oggi voglio parlarti di una cosa che dal sondaggio che ho fatto per il podcast precedente non è emersa, una cosa cioè di cui sento spesso molti miei connazionali e molte mie connazionali lamentarsi e vergognarsi: penso che questa cosa non sia emersa perché ha partecipato al sondaggio un pubblico giovane e poco tradizionalista.

Sono sicura che questa cosa sarebbe emersa se si fosse sottoposto lo stesso sondaggio a quelli che Barzini chiama italiani più italiani degli altri italian i, è cioè i contadini, i pescatori, i proprietari terrieri, i piccoli borghesi delle città minori e in generale, aggiungo io, gli abitanti della provincia.

L’Italia è ed è sempre stata degli stranieri, l’Italia non è mai stata, non è e non sarà mai degli italiani, ormai per le strade si vedono più stranieri che italiani: ecco di cosa ci si lamenta e ci si vergogna spesso.

La mia amata professoressa del liceo, durante le lezioni di storia, ripeteva spesso “l’Italia è stata ed è uno scolapasta”, e ricordo che lo diceva sempre con un po’ di disappunto, di amarezza, di delusione nella voce, e usava la metafora dello scolapasta per far riferimento alle innumerevoli invasioni, passaggi e conquiste dell’Italia da parte di popolazioni straniere.

A me, però, la metafora dello scolapasta non è mai sembrata né mi sembra tuttora negativa: uno scolapasta filtra l’acqua, ma trattiene la pasta, elimina il superfluo, e soprattutto non si scioglie quando l’acqua gli passa attraverso.

Quindi, anche io uso la metafora dello scolapasta per parlare dell’Italia, ma nella mia voce non ci metto delusione e disappunto quando lo faccio perché chi mi conosce sa che per me contaminazione è ricchezza, che per me gli incontri e gli scontri tra culture diverse sono ricchezza.

Comunque, l’Italia è stata davvero, storicamente, uno scolapasta, ciò non si può negare, popolazioni diverse l’hanno attraversata e segnata in positivo e in negativo, lasciando pezzi di sé nella cultura e nella lingua italiana: goti, visigoti, anglo-sassoni, burgundi, alamanni, vandali, ostrogoti, arabi, francesi, spagnoli e austriaci sono solo alcuni di questi popoli.

Anche per questo motivo l’unità d’Italia si è raggiunta molto più tardi rispetto alle altre nazioni europee, nel 1861, perché l’Italia era divisa non solo geograficamente ma anche e soprattutto culturalmente.

Ma sai che si sarebbe potuta avere l’unità d’Italia molti secoli prima, se solo non si fosse stati così sfortunati, quel giorno, durante la battaglia di Fornovo?

Ne hai mai sentito parlare?

Mettiti comodo o comoda perché ora ti racconterò questa bella storiella.

Siamo nel XVI secolo, nel 1492 precisamente: si scoprì l’America, in Italia si elesse papa il corrottissimo cardinale Rodrigo Borgia (papa Alessandro VI), la Spagna divenne una nazione e, unita, si diresse alla conquista di terre straniere, preparando la strada al suo dominio sull’Europa.

Intanto, segretamente, nell’ombra, in Italia si complottava, nello specifico nel ducato di Milano, contro il re di Napoli.

Alla corte del re di Francia, Carlo VIII, appena diventato maggiorenne, si ricevette una visita da emissari segreti dall’Italia, inviati alla corte del re da Ludovico il Moro, signore di Milano.

Si fece, al re di Francia, una proposta che non avrebbe potuto rifiutare: gli si propose di conquistare Napoli e gli si offrirono, per questa impresa, finanziamenti e libertà di passaggio nell’Italia settentrionale. Si sarebbe mai potuta rifiutare una proposta del genere?

No, la risposta è no, e infatti non lo si fece alla corte del re di Francia, il quale accettò l’accordo e, nel 1494, partì alla conquista del sud Italia.

In Italia ci si inquietò ovviamente sentendo la notizia dell’imminente invasione che si considerò in modi differenti: da un lato la si vide come una benedizione, si vide il sovrano straniero come un liberatore, si credette cioè che lui finalmente avrebbe liberato l’Italia dai pessimi governi e dai governanti corrotti; dall’altro lato, però, si era semplicemente terrorizzati.

Allora, i principi d’Italia, capeggiati dal re di Napoli, strinsero alleanze, imbastirono attività diplomatiche per evitare la catastrofe: ci si giurò fedeltà, si preparano eccellenti piani militari e politici, si fece squadra , insomma, proprio come una nazione unita, e questo, attenzione, attenzione, quattro secoli prima dell’unificazione effettiva d’Italia.

C’erano le condizioni per vincere, i capitali, sicuramente maggiori di quelli della Francia, i progetti di difesa erano solidissimi ma…non li si rispettarono, non li si misero in pratica e, soprattutto, le alleanze così forti sulla carta si rivelarono debolissime nella realtà.

Carlo VIII entrò in Italia indisturbato e conquistò il regno di Napoli venendo anche acclamato dal popolo Italiano “Francia, Francia, evviva il re!”.

La situazione però durò poco, il re si dedicò a piaceri materiali, balli, tornei, feste, banchetti e donne, pretese tributi enormi dal popolo e, soprattutto, distribuì cariche importanti, titoli e feudi tra i suoi fedeli: si iniziò dunque a provare antipatia per questo sovrano.

La situazione dunque cambiò e, soprattutto, scoppiò a Napoli, durante il dominio francese, una pandemia di sifilide, una nuova malattia chiamata mal napoletano dai francesi e mal francese dagli italiani.

Così Carlo VIII lasciò il regno di Napoli con il suo esercito per tornare in Francia ma, ma, ma, a Fornovo, sul fiume Taro, trovò l’esercito della lega italiana, formatasi per cacciare lo straniero e riconquistare l’indipendenza del regno: la lega affrontò in battaglia Carlo VIII e il suo esercito a Fornovo il 6 luglio del 1495.

Anche in questa occasione si era preparata una strategia militare infallibile, si era scelto un posto geograficamente strategico, una valle, ma, anche in questa occasione, non si realizzò ciò che si era progettato.

Pensa cosa sarebbe accaduto se effettivamente gli italiani avessero sconfitto il re, pensa alla fama che l’Italia avrebbe avuto in tutta Europa dove si sarebbe sicuramente iniziato a pensare “mmh, questi italiani quando fanno squadra sono pericolosi, meglio riflettere bene prima di invadere la loro terra”.

E invece il messaggio che arrivò in Europa fu: l’Italia non sa difendersi, quindi perché non fare come il re di Francia? Marciamo in Italia, derubiamola e poi andiamo via indisturbati.

Carlo VIII, infatti dopo essersi arricchito a Napoli, tornò in Francia sano e salvo: quindi, il messaggio che arrivò in Europa fu l’Italia è un paese ricco e non sa difendersi.

Da Fornovo in poi chiunque scese in Italia per far bottino e conquistarla, austriaci, tedeschi, fiamminghi, spagnoli e perfino gli svizzeri da sempre un popolo molto cauto: fame, povertà, violenza, malattia e dolore furono costanti dopo Fornovo in Italia.

Nel 1527 l’esercito di Carlo V, re di Spagna, scese sulla capitale e saccheggiò Roma: questo sacco di Roma fu brutale e umiliante.

L’esercito di Carlo V non era pagato, si pagava da solo con i saccheggi, quindi immagina cosa successe in quella città per nove mesi abbandonata alla crudeltà e alla rapacità di un esercito di 30000 uomini senza un comandante.

Papa Clemente VII, prigioniero a Castel Sant’Angelo scrive che si sentivano i gemiti delle donne stuprate e seviziate, i lamenti degli uomini torturati perché rivelassero i nascondigli del loro denaro.

Si potevano ascoltare per le strade di Roma laide canzoni dei soldati ubriachi.

Si violentarono in gruppo donne di ogni età e condizione, anche le suore.

Si distrussero tesori artistici inestimabili.

Si trascinarono per le strade uomini che ricoprivano cariche importanti e li si mise in sella a degli asini, seduti al contrario, per farli sfilare nelle vie della città.

Si spogliarono le chiese di tutti i loro oggetti, si gettarono le reliquie dei santi per le strade.

Si potevano vedere cadaveri decomporsi ovunque.

Si profanarono le tombe per rubare oggetti preziosi.

La brutalità del saccheggiò provò il fatto che Roma non incutesse negli stranieri né soggezione né rispetto, e questo per gli italiani fu un colpo fortissimo, dal momento che Roma rappresentava il centro del potere politico ma soprattutto spirituale.

L’Italia era una nazione così insignificante da non provocare rispetto in nessuno: e questo fu un grosso colpo per l’orgoglio, e penso che lo sia tuttora per gli italiani che ascoltano questa triste storia.

Si fa, nel saggio di Barzini, una considerazione secondo me molto interessante.

Si scrive che questa e molte altre umiliazioni storiche future unite al fatto che per secoli l’Italia è stata sotto il dominio di governi stranieri, queste due cose da un lato hanno ridotto gli italiani, mentalmente, ad una condizione di inferiorità rispetto ad essi, rispetto agli stranieri, mentre dall’altro, come forma di riscatto, diciamo, hanno rafforzato in loro, negli italiani, sia l’orgoglio per le cose di cui andare fieri (l’arte, la letteratura, il cibo, la musica, l’architettura, i paesaggi) sia un po’ di odio, un po’ di rancore nei confronti degli stranieri.

D’altronde, anche il nostro inno nazionale dice…

…noi siamo da secoli calpesti e derisi, perché non siam popolo, perché siam divisi…

…dice cioè che abbiamo subito nei secoli tante umiliazioni perché non siamo stati un popolo unito, perché non siamo stati capaci di unire le forze per difenderci, ricordandoci che questo è il motivo per cui gli stranieri hanno fatto ciò che hanno fatto.

Ed è vero, l’Italia non era unita geograficamente, non lo era culturalmente e di conseguenza non lo è stata politicamente perché quando non ci si fida gli uni degli altri, quando ci si sente diversi gli uni dagli altri, quando ci si sente di appartenere a gruppi diversi e non allo stesso gruppo, si possono solo creare alleanze e collaborazioni fragili.

Ma in che senso l’Italia, prima dell’unificazione avvenuta nel 1861, non era unita geograficamente e culturalmente?

Domani ti racconterò un’altra bella storiella per rispondere a questa domanda, e lo farò con un ospite davvero speciale.

Intanto oggi ti ringrazio per la tua compagnia e ti lascio con una domanda (eh già, un’altra domanda): cosa pensi del rancore o della vergogna provati per fatti accaduti nel passato? Sono sentimenti giusti, sbagliati o dipende?

Grazie per il tuo ascolto, a domani.

GLOSSARIO

● Fare squadra : espressione con il significato di agire come un gruppo, come una squadra .

● Unire le forze : espressione con il significato di allearsi, lavorare insieme .

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