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#60: Vlog in Italiano | Arezzo (val di Chiana, storia, mercato delle pulci, Petrarca)

Questo episodio è il primo in un nuovo formato che vogliamo sperimentare su LerniLango: un docu-podcast, cioè un podcast documentario (un vlog, diciamo) con audio e video riprese di una piccola passeggiata fatta nella città di Arezzo. Le riprese e l’audio vi guideranno alla scoperta della città, dei suoi luoghi, personaggi e delle sue tradizioni. Scopri di più su https://lernilango.com
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#60: Vlog in Italiano | Arezzo (val di Chiana, storia, mercato delle pulci, Petrarca)
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Introduzione

Questo episodio è il primo in un nuovo formato che vogliamo sperimentare su LerniLango: un docu-podcast, cioè un podcast documentario (un vlog, diciamo) con audio e video riprese di una piccola passeggiata fatta nella città di Arezzo. Le riprese e l’audio vi guideranno alla scoperta della città, dei suoi luoghi, personaggi e delle sue tradizioni.

Link per il video: https://youtu.be/mbzFFMiLvE8

Trascrizione

State ascoltando un docu-podcast prodotto da LerniLango, un’infrastruttura online per l’apprendimento della lingua italiana. Per maggiori informazioni e per leggere la trascrizione del docu-podcast visita Lernilango.com. 

Per adesso buon ascolto di questo primo docu-podcast “A spasso nella storia di Arezzo”.

Ciao e benvenuti e benvenute ad un nuovo formato dei podcast di LerniLango!

Abbiamo deciso di iniziare a creare dei docu-podcast, cioè dei podcast documentario da ascoltare e guardare. Insomma, un docu-podcast è un po’ come un vlog, solo che la parola docu-podcast è molto più carina, molto più creativa. 

Quindi, a chi ora ci ascolta su Spotify, Applepodcast, Castbox eccetera, dico che se andate sul nostro canale Youtube troverete le riprese fatte per questo docu-podcast o vlog nella città di Arezzo. 

Infatti, in questo primo episodio vi guiderò alla scoperta della città di Arezzo. Parlerò dei luoghi principali della città, dei personaggi principali, delle sue tradizioni più importanti. 

E dunque, il nostro viaggio, la nostra piccola gita parte proprio da questo meraviglioso e tipico paesaggio toscano che vedete ora, la Val di Chiana, valle in cui sorge la città di Arezzo. 

Una valle è una zona piatta che sorge tra vari pendii, cioè montagne e colline: la zona piatta che vedete, ora, di fronte a voi, circondata dalle colline toscane, è molto estesa e comprende i paesi di ben 4 province, due toscane, Arezzo e Siena, e due umbre, Perugia e Terni.

La Val di Chiana, o Val di Clanis, prende il suo nome dal fiume Clanis, appunto, che in passato attraversava l’intera valle collegando così Arezzo alla città di Roma e al Mar Tirreno (perché il Clanis si immetteva direttamente nel Tevere, fiume di Roma): insomma, in passato si poteva raggiungere Roma via fiume), almeno fino al 295 a.c., anno in cui, in seguito alla battaglia del Sentino, i romani presero il controllo della Val di Chiana. 

Una volta al potere, i romani decisero che il fiume Clanis era responsabile delle piene del fiume Tevere che inondavano spesso Roma: così, negli anni, ci furono sempre più interventi e opere di bonifica che portarono alla progressiva scomparsa del fiume. 

Quindi, ciò che vedete ora è anche il risultato dell’intervento dei romani.

In questo punto qui, indicato nello schermo, sorge Arezzo, un po’più in alto rispetto alla valle, infatti se in futuro deciderete di visitare questa città, preparatevi: è tutto in salita, letteralmente in salita!

E quindi ora, seguiamo il mio bassotto, che come vedete è qui con me, e andiamo, in macchina, verso il centro della città. 

Durante questo breve tragitto di circa 12 minuti per raggiungere il centro, vi racconterò qualcosa sulla città di Arezzo.

Arezzo sorge in una zona abitata sin dalla preistoria, ed è una città etrusca. Si hanno notizie della Arezzo etrusca sin dal XI secolo a.C.

Gli etruschi erano un popolo dell’Italia antica che occupava quest’area verde pisello che vedete qui, in questa cartina della suddivisione territoriale dell’Italia antica. 

Gli etruschi dominarono su Arezzo fino a quando i romani non iniziarono a rompere le scatole con l’espansione del loro impero e la conquistarono nel III secolo a.C. cambiandole il nome: Aritim, nome etrusco, diventò Arretium, nome latino. 

Quando l’impero romano iniziò a sfaldarsi, o comunque a ridurre la sua capacità di controllo politico, in Italia iniziarono a formarsi dei poteri territoriali che tendevano all’autogoverno del proprio luogo: questo nuovo sistema politico prendeva il nome di feudalesimo. 

Ciò è quanto accadde anche nella città di Arezzo, che almeno fino al 1348 godette di grande potenza e indipendenza politica: nel 1348 venne infatti annessa, dopo una lotta armata, al Granducato di Toscana, un feudo un po’più grande, diciamo, quasi uno stato, stato che durò fino al 1859, fino cioè a qualche anno prima dell’unità d’Italia. 

Insomma, cade l’impero romano, ognuno forma il suo governo nel suo territorio, solo che c’è chi ha territori più piccoli e eserciti più piccoli e c’è chi ha territori più grandi ed eserciti più grandi: chi vince, secondo voi? 

 Questo è il motivo per cui molte città italiane hanno spesse mura che le circondano, mura che nella maggior parte dei casi sono sorte in questa fase storica di lotta di tutti contro tutti!

Ed infatti eccoci arrivati al parcheggio ai piedi della città, ed eccoci di fronte alle mura di Arezzo costruite nel ‘300 a scopi difensivi appunto. Le mura circondano il sito medievale della città, come spesso succede in Italia, e non circondano ovviamente le costruzioni più moderne. 

Sempre a scopi difensivi, le città venivano costruite quanto più in alto possibile: infatti per raggiungere il centro dobbiamo salire. 

Per fortuna mia e di tutta l’umanità pigra e che come me odia le salite, ci sono delle comode scale mobili che portano su in cima. 

Eccole qui, ed io direi grazie a Dio!

Prendendo le scale mobili, si può in realtà avere un primo assaggio delle principali attrazioni di Arezzo, perché per tutto il percorso di salita sono esposte delle fotografie di queste attrazioni. 

Vedete questi signori qui ad esempio? Loro sono i cavalieri rappresentanti dei quartieri di Arezzo, che ogni anno si sfidano in uno storico torneo: la giostra del Saracino. Non è il momento ora di parlare della giostra, ci torneremo quando arriveremo nella piazza centrale di Arezzo. Ora, cercate solo di tenere a mente questi signori per dopo.

Nelle fotografie successive, invece, troviamo qualcosa di cui vi voglio parlare adesso, e cioè lo storico mercato delle pulci di Arezzo. Per ‘mercato delle pulci’, in Italia intendiamo il mercatino dell’usato, e il mercato dell’usato di Arezzo è il più grande e conosciuto in Italia. 

La grande fiera antiquaria di Arezzo ebbe luogo per la prima volta il 2 giugno del 1968, in occasione della festa della Repubblica, su idea dell’aretino Ivan Bruschi, appassionato di arte e antiquariato. Bruschi si ispirò al mercato di Portobello di Londra e al mercato delle pulci di Parigi per l’ideazione di quello di Arezzo. 

La prima domenica del mese, ogni mese, le vie del centro storico si riempiono di venditori di oggetti antichi, vestiti, mobili, libri, arte, musica: io ho avuto la fortuna di parteciparvi almeno una volta, prima che il virus bloccasse tutto. Le bancarelle dei venditori ambulanti sono letteralmente ovunque, per tutte le vie del centro storico, come vedete in queste foto, e la città si anima in un modo davvero molto italiano, cioè rumoroso e vivace. 

Se deciderete di visitare questa città, cercate di farlo in concomitanza del mercato: ne vale davvero la pena!

E intanto siamo arrivati alla fine del tunnel per ritrovarci…di fronte alla cattedrale di San Donato di Arezzo, bellina, carina, risalente al XIII secolo, sita sul colle dove sorge Arezzo (in posizione centrale, e questo ci dice molto sul potere della chiesa in quegli anni), ma a parte questo non ho altro da aggiungere, anche perché non mi hanno fatta entrare dentro, motivo per cui, adesso, percorrendo la navata laterale di questa cattedrale, vi porto verso il parchetto retrostante ad essa, da cui si può ammirare la valle da un’altra prospettiva (e capire anche quanto in alto è stata costruita Arezzo e quanto in alto sarei dovuta salire, a piedi, se non ci fossero state le scale mobili). 

Questo qui è l’albero di Gondor, scherzo.

Questo è il parchetto.

Ed ecco la valle.

Un paesaggio bucolico, e non a caso uso questa parola ‘bucolico’, perché questo paesaggio si ritrova nelle poesie di uno dei più grandi e studiati poeti italiani, Francesco Petrarca, aretino, nato ad Arezzo, cioè questo signore qui, ‘instatuato’in questo monumento che ora vedete. Piccola parentesi: instatuare non è una vera parola, l’ho appena inventata io, quindi non usatela mai. 

Comunque, dicevo il signore ‘instatuato’ è Francesco Petrarca, il primo personaggio legato a questa città di cui oggi vi parlo. 

Francesco Petrarca nacque ad Arezzo il 20 luglio del 1304 da una famiglia borghese: il padre, Ser Petracco, era un notaio. Francesco intraprese studi giuridici, ma al contempo si dedicò allo studio dei classici latini per cui provava una profonda ammirazione. Francesco è un intellettuale un po’ atipico per quei tempi perché viaggia molto, mentre gli intellettuali del tempo (come Dante) sono più legati all’ambiente cittadino.

Petrarca è caratterizzato da un’inesausta curiosità di conoscere e da una perpetua inquietudine che lo porteranno sempre a cambiare ambiente. 

Petrarca scriveva in latino (principalmente opere religiose, morali e omaggi ai classici) ma anche in volgare: sapete cos’era questo volgare? 

Sin dai tempi dell’impero romano, il latino che il popolo parlava, per strada, tutti i giorni, era diverso dal latino della cultura, della letteratura. Questo latino parlato, nel tempo, si è ulteriormente differenziato in una miriade di varietà locali, varietà che subivano anche l’influenza (localmente) degli altri popoli che avevano occupato quei territori prima dei romani e che avrebbero occupato quei territori dopo i romani: arabi, popolazioni germaniche, slave, greci, bizantini, eccetera, eccetera, eccetera. 

Insomma, una matassa di lingue! 

Quindi, questo volgare (che già dal nome si capisce che non era tenuto in ottima considerazione), era la lingua parlata dal popolo, era la lingua per tutte le necessità quotidiane, opposta al latino che rimaneva la lingua della cultura, della religione e per la maggior parte anche della burocrazia. 

Ad un certo punto però le cose iniziano a cambiare e anche il volgare diventa lingua di espressione culturale…perché?

Perché in Italia, in questo periodo, una nuova classe sociale, borghese-mercantile, inizia la sua ascesa sociale, inizia cioè a diventare più ricca e più influente: la classe borghese-mercantile ha sempre usato il volgare per esprimersi, e ora ha bisogno di una letteratura che parli la sua lingua, che esprima dunque la sua visione del mondo. 

Petrarca è uno dei poeti italiani che in questi anni scrisse in volgare, anche se, in realtà, considerò sempre le sue opere volgari meno degne di quelle latine: eppure, ironia della sorte, la sua gloria eterna presso i posteri gliela hanno portata proprio le sue opere in volgare. 

Infatti, in Italia, tutti studiamo Petrarca: TUTTI, in tutte le scuole, e anche all’università (se decidiamo di studiare lettere). Studiamo principalmente il Canzoniere, cioè una raccolta di ben 366 poesie dedicate al suo amore per Laura: in esse racconta tutto, ma proprio tutto, di questo amore, come è nato, come si è sviluppato e come poi è finito perché Laura è morta. Non c’è stato mai contatto tra i due, né alcun tipo di amore carnale: solo devozione e lodi verso questa donna. 

La trama non è entusiasmante, devo dire, ma la cosa importante è la lingua usata in queste poesie, perché Petrarca prende il volgare e cerca di ingentilirlo attraverso il latino: da abile filologo, ripulisce la lingua volgare parlata e la adatta alla poesia usando come filtro il latino. 

Ma la cosa più importante è che la lingua che Petrarca ha usato nel Canzoniere sarà presa, molti anni dopo (nel Cinquecento), insieme alla lingua di Dante e Boccaccio, come modello linguistico unitario per tutta l’Italia: quindi, in questa raccolta di poesie c’è il seme dell’italiano che io oggi parlo, che voi oggi studiate. Attenzione: ho detto il seme, perché il volgare di Petrarca è molto distante dall’italiano di oggi. 

Ed ora ve ne do un esempio: vi leggerò le prime due quartine di una poesia del Canzoniere, che troverete nella trascrizione: quando le leggerete, provate a ‘tradurle’in italiano contemporaneo, se ci riuscite. Potete condividere le vostre prove nei commenti se volete!

Mentre recito le prime due quartine, mi sposto verso l’ultimo luogo della prima tappa di questo docu-podcast, e cioè la casa di Francesco Petrarca, ora un museo dove potete vedere la sua immensa e bellissima libreria personale. 

Ecco le quartine:

Erano i capei d’oro a l’aura sparsi
che ’n mille dolci nodi gli avolgea,
e ’l vago lume oltra misura ardea
di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi;

e ’l viso di pietosi color’ farsi,
non so se vero o falso, mi parea:
i’ che l’esca amorosa al petto avea,
qual meraviglia se di sùbito arsi?

E con questa visuale della casa di Petrarca io vi saluto, ci vediamo la prossima settimana per la seconda tappa di questo docu-podcast! Vi racconterò della giostra del Saracino, di due artisti legati alla città di Arezzo (Cimabue e Piero della Francesca) e di altre cosette più turistiche!

Grazie se siete arrivati e arrivate fino alla fine!

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