Introduzione
In questo episodio di livello avanzato vedremo cosa succede quando la lingua italiana entra in contatto con gli individui generando l’idioletto. Stando al concetto di idioletto ogni individuo parla una varietà di lingua diversa…secondo voi è possibile? è possibile che ogni cittadino italiano parla un italiano diverso?
Trascrizione
Durante il mio primo anno di magistrale, quando ero all’università stavo preparando l’esame di sociolinguistica dell’italiano contemporaneo e ricordo che mentre studiavo ad un certo punto mi imbattei nel concetto di idioletto, un argomento che catturò all’istante la mia attenzione.
Prima però di parlarvi dell’idioletto vorrei fare un passo indietro e ricordare, o informare ovviamente per chi non lo sapesse, che l’italiano non è una lingua monolitica, ma è una lingua estremamente colorata e variegata. Non esiste, infatti, un solo italiano, ma tante varietà di italiano che cambiano in base a variabili come il contesto ad esempio, il luogo geografico, l’età, il sesso, la professione.
Tanto per complicare le cose in questo gruppo già grande di varietà di italiano, ce n’è un’altra che è appunto l’idioletto. L’idioletto è definito come la lingua individuale, cioè la varietà di italiano propria di ogni singolo individuo: quindi pensate che, stando a questa definizione, dal momento che gli italiani sono circa 60 milioni, allora ci sono anche 60 milioni di varietà d’italiano. Lo credete possibile?
Ma addentriamoci meglio in questo concetto per cercare di capirci qualcosa in più.
Un linguista italiano, Massimo Arcangeli, nel suo saggio Lingua e identità, per descrivere il concetto di idioletto utilizza un’immagine presa dall’autobiografia di Amos Oz, Una storia di amore e tenebra.
Vi leggo ora la parte del romanzo in cui è presente questa immagine.
Nessun uomo è un’isola, dice John Donne in questa meravigliosa frase cui umilmente oso aggiungere: nessun uomo e nessuna donna è un’isola, siamo invece tutti penisole, per metà attaccate alla terraferma e per metà di fronte all’oceano, per metà legati alla tradizione e al paese e alla nazione e al sesso e alla lingua e a molte altre cose. Mentre l’altra metà chiede di essere lasciata da sola, di fronte all’oceano.
Cosa ci dice dunque questa immagine sull’idioletto?! Ci dice che l’idioletto è certamente la varietà propria di ciascun individuo, ma all’interno di esso troviamo due componenti: una sociale, collettiva, riconducibile alla lingua della collettività, e dunque la parte attaccata alla terra ferma, e una componente individuale irriducibile all’influenza della collettività, e dunque la parte rivolta verso l’oceano. All’interno dell’idioletto dunque ci sono due parti: una parte che condividiamo con gli altri e una parte che è solo nostra.
Nella parte sociale troviamo le varietà di italiano presenti nella o nelle collettività con cui siamo entrati in contatto, le varietà cioè che abbiamo “respirato” nella nostra vita. Se ad esempio non sono mai entrata in contatto con il dialetto, il dialetto non farà mai parte del mio idioletto.
Che dire però della parte individuale? Dove la troviamo? Jakobson, un altro linguista, sostiene che “la proprietà privata non esiste nel linguaggio, poiché tutto è sociale”. Quindi? Che dire di questa componente che è solo nostra e di nessun’altro? Dove trovarla? E, soprattutto, è davvero possibile trovarla? è davvero possibile individuare qualcosa che è solo nostro e di nessun’altro? che abbiamo solo noi e che nessun’altro ha?
Per rispondere a queste domande ho registrato la storia di vita di mio nonno e l’ho analizzata linguisticamente per cercare di descrivere il suo idioletto e dunque isolare la componente sociale e quella individuale.
Vi racconto cosa è emerso dall’analisi, e vi faccio anche ascoltare qualche estratto della sua storia di vita.
Per quanto riguarda la componente sociale, tre sono le varietà di italiano che compongono l’idioletto di mio nonno: il dialetto barese, l’italiano popolare e l’italiano burocratico usato come registro formale.
Partiamo dall’italiano popolare e l’italiano burocratico. Sul primo spenderò poche parole e dirò semplicemente che è una varietà dell’italiano parlata da chi ha come madrelingua il dialetto, e dunque da chi è entrato in contatto con l’italiano standard dopo, da grande. Ad esempio, un tratto caratteristico di questa varietà, un segnale che ci dice che siamo in presenza dell’italiano popolare, è l’uso del “ci” come pronome indiretto di terza persona singolare.
“Ci ho detto una cosa” invece di “le ho detto” o “gli ho detto”.
Voglio invece dire qualcosa in più sull’italiano burocratico. Come già ci dice la parola, questa è la varietà propria della burocrazia italiana. Uno scrittore italiano, Italo Calvino, l’ha definito come “antilingua” perché per lui (e anche per molti altri) è una varietà inutilmente complicata e incomprensibile. Una cosa interessante di questa varietà è che viene usata come registro formale (dunque come registro per parlare di cose serie, in contesti formali) da persone poco istruite e poco attente alla lingua, e che padroneggiano male l’italiano.
E questo è proprio il caso dell’idioletto di mio nonno!
Prima di ascoltare l’estratto vorrei aprire una piccola parentesi: quando parliamo di varietà non intendiamo lingue completamente diverse e dunque incomprensibili da chi ha studiato un italiano più standard. Una varietà ha semplicemente in sé dei segnali, degli elementi che ci fanno pensare “qui c’è qualcosa di diverso”. In questa varietà ad esempio, nell’italiano burocratico, il “qualcosa di diverso” è creare frasi inutilmente complicate. Mentre ascoltate dunque, cercate di concentrarvi su questo, cercate di trovare punti in cui la costruzione vi suona complicata.
Ecco l’estratto:
Giunto un medico, giunto allo studio di un medico, saliamo, entriamo in una sala d’attesa gremita di gente. Subito dopo si presenta l’infermiera del dottore, del medico, che ci interroga per la nostra presenza. Noi riferiamo di avevamo già preso un accordo tra di noi – sempre, io e il mio collega più maturo di me – di come presentarsi va bene, e nel caso di richiesta di colloquio si doveva presentare prima l’odontotecnico più grande, dopo io essendo giovane e inesperto pure di colloqui eccetera, di rapporti con il medico – perché, tra parentesi, nel laboratorio non sono mai stato interpellato, non avendo mai conosciuto il medico dentista perché era sempre chiuso nel laboratorio ed eseguivo gli ordini del titolare di laboratorio – quindi io ero inesperto al colloquio con i medici dentisti. Dopo un’attesa pazientosa, l’infermiera va bene, ci venne incontro dichiarando la possibilità di colloquio del medico facendo entrare un-uno per volta, quindi l’accordo già preso precedentemente fu quello di presentarsi l’odontotecnico più anziano va bene, entra nello studio del medico va bene, subito dopo, subito dopo il colloquio esce un po’ rattristato. La mia mente subito diciamo così ha colto al volo l’interpretazione del volto del collega va bene, ragion per cui io ero preoccupato per la mia gioventù, per la mia presenza di giovane odontotecnico al colloquio con un medico dentista molto più esperto della mia persona. Entro, l’infermiera mi dà l’okay di entrare nello studio del medico, il quale mi scruta da testa a fondo ero preoccupato nelle risposte da dare, comunque nel mio cervello, va bene, il mio cervello ritiene-ritenne di affrontare per la prima volta in assoluto un colloquio tra il dentista e l’odontotecnico. Subito il dottore, seduto in una scrivania grandissima, con tante impronte di protesi, con tanti modelli di protesi sulla scrivania come voleva dimostrare un grande studio odontoiatrico con tanta clientela da soddisfare, mi comincia a parlare, mi chiede tra parentesi due punti: “quanti anni hai?”, avevo 21 anni, “Sei libero?”, “sì”, “hai un laboratorio?”, “sì”, “dove è ubicato il laboratorio?”, “il laboratorio è ubicato in via tot dei tot a Bari”. Mi fece anche questa domanda: “ma lavori per caso in un sottoscala?”. Alla domanda rivolta dal professionista rimasi veramente male, come se io ero un nullafacente o un povero disgraziato! Alla risposta gli dissi “il mio laboratorio è ubicato in un appartamento di lusso!”, “ah, sono contento, cosa sai fare?” – sempre la domanda del dottore – “non mi hai portato i modelli dimostrativi?”, alla domanda io rispondo tecnicamente: “i lavori dimostrativi non servono a niente perché non hanno alcun valore, perché sono dei preformati di lavorazione non con mano artigianale!”, “che cosa vuol dire questo?”, “vuol dire CHE se lei ha la possibilità di darmi del lavoro è il lavoro che deve dimostrare la mia fattibilità di odontotecnico per eseguire le sue domande e le sue prestazioni!”, dish’ “va bene” dish’ “sono convinto di quello che lei mi dice! Tra parentesi dica al signore che è il suo collega di non presentarsi più in questo studio” dice “eventualmente avrò bisogno solo di lei”.
Adesso cerco di semplificare alcune frasi complicate presenti nell’estratto, giusto per farvi capire meglio questo concetto di “costruzione complicata”.
Ad un certo punto dice “il medico ci interroga per la nostra presenza”: avrebbe semplicemente potuto dire “il medico ci chiede perché eravamo lì”. Facile no?
Oppure: “l’infermiera ci venne incontro dichiarando la possibilità di colloquio del medico”. “L’infermiera venne da noi e ci disse che potevamo parlare con il medico”.
O ancora – questa è la più difficile – “io ero preoccupato per la mia gioventù, per la mia presenza di giovane odontotecnico al colloquio con un medico dentista molto più esperto della mia persona” semplificato “io ero preoccupato per la mia giovane età, per il colloquio con un dentista molto più esperto di me”.
Conclusione che traiamo da questi esempi è che questa è una varietà come potete vedere inutilmente complicata, secondo cui complicato = buono, alto, formale, semplice = non buono, basso, informale.
Perché però parlo di italiano burocratico usato come registro formale? Dico questo perché questo racconta, questo estratto è stato raccontato appunto all’inizio della registrazione, quindi in un momento in cui mio nonno ancora doveva prendere confidenza con il registratore, con il mio telefono che registrava. Quindi si sentiva molto inibito dalla presenza del telefono, del registratore, si sentiva osservato da questo strumento che lo registrava. Allora in quel momento sentendosi osservato, ha sentito, si è sentito di dover mostrare, di dover far mostra del suo italiano migliore, e il suo italiano migliore, date le sue, come poter dire, limitate conoscenze linguistiche, competenze linguistiche è appunto l’italiano burocratico, per questo parlo di italiano burocratico usato come registro formale.
Ora invece passiamo al dialetto barese: vi faccio ascoltare il dialogo avvenuto tra mio nonno e il padre di mia nonna quando mio nonno si dichiarò a lei e dichiarò al padre che avrebbe voluto sposarla.
Entriamo nella scena: in passato, alle ragazze non era assolutamente permesso parlare con i ragazzi – direttamente almeno – perché prima i ragazzi dovevano andare dal padre delle donne e chiedere loro il permesso di poter sposare le figlie, o comunque parlar con le figlie e dichiarar loro il loro amore. Mio nonno fece questo, andò dal padre di mia nonna, ed ecco cosa si sono detti (ovviamente in dialetto barese):
“piacere”, “ah tu si ‘u dentist’? Mi sta parl’ sempr’ mia figlia ma tu ce cos’ wé?”, “voglio a tua figlia”, “e u v’n’ a dish’ a me? A jédd’ c’-u-a-d-a-dic’r’’”, dish’ “no tua figlia mi ha dato questa semplice risposta: vai da mio padre; che cosa c’hai da dire di me?”, “ti canosh’ch’”, “beh va bene mo’ ca vóch’ a cas’ ci ‘u dig’ch’!”, “e allora come la mettiamo?”, “ti faccio sapere qualche cosa”. U-u-wattán’ quand’ si ritira a la casa parla a la figgh’ “ma tu ce cos wé da cudd’ u wé a cudd’ o no l’ wé?”, dish’ “sì, io, mi sta facendo la corte ma non lo conosco”, “se lo devi conoscere ci devi uscire per capire le sue intenzioni”, va beh.
Se non avete capito cosa si sono detti non vi preoccupate, tante volte neanche io capisco il dialetto barese, sebbene sia circondata da baresi! Comunque, riassumerò brevemente, cercherò di riassumere brevemente.
Mio nonno va dal padre di mia nonna e il padre gli chiede “ma tu cosa vuoi?”, lui gli risponde “io voglio tua figlia”, e il padre di mia nonna dice “e allora perché lo chiedi a me? Dovresti chiederlo a lei!”, mio nonno risponde “tua figlia mi ha detto di venire da te prima, per chiedere a te. Quindi che cosa hai da dire su di me? Perché lei non mi conosce!”, il padre di mia nonna risponde “ti conosco, certo, sei il dentista”, perché mio nonno lavorava come garzone nella bottega del dentista di fronte casa di mia nonna, quindi nella stessa via e ovviamente il padre di mia nonna lo conosceva, e infatti mio nonno ricorda che quando lui era piccolo si attaccava alla carrozza del padre di mia nonna, perché il padre di mia nonna guidava la carrozza di mestiere, e quindi così per divertimenti si attaccava alla carrozza, e quindi lo conosce sin da piccolo.
Quindi la storia si conclude, e poiché il padre di mia nonna conosceva già mio nonno da implicitamente il consenso a queste nozze, a questo matrimonio.
E concludiamo con questa storia la riflessione sulla componente sociale dell’idioletto.
Per quanto riguarda invece la componente individuale vi confesso che non credo molto nella presenza di qualcosa che è solo nostro e di nessun’altro, cioè di qualcosa che è solo nel nostro modo di parlare e che non è nel modo di parlare di nessun’altro. Non credo molto in questo, perché qualsiasi cosa, dalle parole che usiamo, al modo in cui le combiniamo per creare un significato è qualcosa che viene dall’esterno, è qualcosa che davvero non può essere fatto per la prima volta da qualcuno e non essere mai poi imitato da nessun altro, non credo in questo.
Quindi preferisco concludere che certamente esiste una componente individuale, certamente, ma è negli occhi di chi guarda. E qui mi rifaccio ad una frase mainstream che sicuramente conoscete, cioè “la bellezza è negli occhi di chi guarda”: questo per dire che la componente individuale, cioè quella parte che è propria di qualcuno e di nessun’altro e che nessun altro ha esiste, certamente, ma si attiva nel momento in cui c’è l’occhio di un osservatore esterno.
La componente dell’idioletto di mio nonno, la componente individuale dell’idioletto di mio nonno esiste, ma esiste perché io la percepisco e perché io la percepisco come tale come individuale cioè, come sua e di nessun’altro.
Quindi per me gli elementi che compongono la parte individuale del suo idioletto, gli elementi cioè che sono suoi, che sono propri del suo modo di parlare e di nessun’altro sono ad esempio il modo in cui intona un elenco di cose o eventi, perché pronuncia con maggiore enfasi alcune parole e aumenta, in un climax ascendente, il tono della voce.
Vi faccio ascoltare:
me ne FREGAVO dell’avviso, non mi IMPORTAVA dell’avviso, PUR SAPENDO di camminare coi cerchioni, va bene.
E questo è solo uno dei tanti elementi che, per quanto mi riguarda, mi farebbero riconoscere l’idioletto di mio nonno fra mille.
Siamo arrivati alla fine, quindi grazie per aver ascoltato fin qui e…vi lascio con una domanda: quali sono gli elementi che compongono il vostro idioletto? E soprattutto, cosa dicono di voi?
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