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La politica linguistica del fascismo

Questo episodio di livello avanzato fa parte della serie dedicata al fascismo, un capitolo portante della storia italiana, che ancora oggi, sebbene in piccole quantità, continua a farsi sentire. In questo episodio vi parlo delle misure prese dal Fascismo per “purificare” la lingua italiana, misure coerenti con la politica nazionalistica di questo partito. Scopri di più su https://lernilango.com
Lingua italiana insieme
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La politica linguistica del fascismo
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Introduzione

Questo episodio di livello avanzato del nostro podcast fa parte della serie dedicata al fascismo, un capitolo portante della storia italiana, che ancora oggi, sebbene in piccole quantità, continua  a farsi sentire. In questo episodio vi parlo delle misure prese dal Fascismo per “purificare” la lingua italiana, misure coerenti con la politica nazionalistica di questo partito. 

Trascrizione 

State ascoltando “la lingua e le cose”, una rubrica prodotta da LerniLango, un’infrastruttura online per l’apprendimento della lingua italiana. Per saperne di più e per leggere la trascrizione del podcast vienici a trovare su Lernilango.com.

Per adesso buon ascolto dell’episodio “La politica linguistica del Fascismo”.

L’episodio di oggi è un sequel dell’episodio precedente di questa rubrica, cioè “l’italiano scolastico”, e dell’episodio della rubrica “le cose italiane” intitolato “il fascismo in poche parole”. 

Come sequel di “l’italiano scolastico” questo episodio vuole fornirvi un esempio storico di imposizione di un modello linguistico da parte di un regime politico, mentre come sequel di “il Fascismo in poche parole” vuole mostrarvi uno dei campi d’intervento della politica del PNF, cioè del Partito Nazionale Fascista.

Incominciamo dunque. 

Mussolini è al potere, conquista, in modi discutibili, il potere assoluto in Parlamento arrivando ad instaurare un regime a partito unico, una dittatura insomma, uno stato totalitario.

Tutte queste definizioni hanno in comune una sola cosa: lo stato è sovrano, lo stato è i cittadini, i cittadini sono lo stato, lo stato controlla la vita pubblica e privata dei cittadini, lo stato detta le leggi e punisce chi non le rispetta. 

Tra le tante cose che il regime fascista voleva controllare, c’era anche la lingua, perché la lingua è uno strumento potente, le parole hanno un significato, veicolano immagini, spingono ad agire. 

Il Fascismo aveva un carattere nazionalista, e voleva esaltare e valorizzare il concetto della Nazione come organismo unico e distinto da altri. Per questo il regime avviò il processo di italianizzazione dell’Italia per liberarla dalla presenza di tutto ciò che Italia non era. 

Innanzitutto dunque stop ai dialetti: in televisione, sui giornali, al cinema, a teatro, a scuola e nella letteratura si doveva usare solo la lingua nazionale. Il regime però temeva di perdere il consenso delle masse dialettofone, così decise di attuare una tolleranza maggiore, soprattutto al cinema: furono infatti autorizzati alcuni film con presenza dialettale, come “Avanti c’è posto”. 

I forestierismi, cioè le parole provenienti da altre lingue, furono banditi perché minacciavano l’identità nazionale e diminuivano il prestigio della nazione. 

Tra febbraio e luglio 1932 fu bandito un concorso a premi per sostituire 50 parole straniere con equivalenti parole italiane: i partecipanti al concorso dovevano proporre delle parole italiane che sostituissero quelle straniere. 

Ta il marzo dello stesso anno e il marzo del 1933 fu inaugurata sulla «Gazzetta del popolo» (un giornale italiano) la rubrica “Una parola al giorno”, in cui si proponevano sostituzioni di forestierismi. 

Furono inoltre emanate molte leggi che scoraggiarono o proibirono l’uso di forestierismi. Chi veniva beccato a usare parole straniere doveva pagare una multa. Un decreto dell’11 febbraio 1923, prevedeva una multa 4 volte maggiore per chi avesse usato pubblicamente dei forestierismi nelle insegne commerciali; successivamente la multa crebbe, e un altro decreto la portò a 25 volte maggiore.

Dopo il 1936 la situazione peggiorò: i bambini e le bambine italiane non potevano avere nomi stranieri; molti enti prestigiosi furono costretti a cambiare nome. 

Il Touring club italiano diventò la Consociazione turistica italiana; il Club alpino italiano diventò il Centro alpinistico italiano; la Reale automobil club d’Italia diventò la Reale automobile circolo d’Italia.

Il culmine fu raggiunto con la legge del 23 dicembre 1940, che vietava l’esposizione di parole straniere sia «nelle intestazioni delle ditte industriali o commerciali e delle attività professionali», sia «nelle insegne» e in ogni altra forma pubblicitaria. 

Venne creata inoltre una “commissione per l’italianità della lingua”, con il compito di proporre sostituzioni italiane a parole straniere. Vennero italianizzati cognomi, toponimi e parole d’uso comune. I toponimi sono nomi di luoghi. 

Ma vediamo ora quali criteri furono adottati per italianizzare le parole straniere. 

In alcuni casi gli adattamenti furono solo grafici, come per la parola inglese the (t-h-e) sostituita dalla parola tè (t-è con l’accento). 

In altri ci fu un adattamento del suono, come la parola inglese autocar adattata in autocarro.

In altri casi invece si cercò di tradurre le parole. Check diventa assegno, bar diventa mescita, brandy e whisky diventano acquavite, sandwich diventa tramezzino, Courmayeur (un paese italiano in Valle d’Aosta) diventa Cormaiore, il cognome sloveno Rusovič viene trasformato in Russo, football diventa palla al calcio, e molte, molte altre parole vengono tradotte in modi molto buffi. Nella trascrizione di questo podcast troverete un link (https://bit.ly/37HhewH) che vi rimanderà ad una tabella contenente altre parole straniere italianizzate durante il Fascismo, così potrete divertirvi un po’ e farvi quattro risate. 

Quella contro i forestierismi è una battaglia combattuta ancora oggi, soprattutto sui social: molte persone sono contrarie all’uso intensivo di queste parole nella nostra lingua, e molti richiedono una politica linguistica in difesa della lingua italiana.   

Come sostiene la linguista Valeria Della Valle, l’intento di queste rivendicazioni è nobile, perché dimostra un attaccamento al proprio patrimonio culturale, di cui fa parte anche la lingua, ma secondo lei la lingua non può essere controllata da un’istituzione, la lingua non può essere imposta dall’alto.

Infatti, il contatto tra lingue ha sempre caratterizzato l’evoluzione storica delle lingue, è un processo naturale e inevitabile da tanti punti di vista: più diminuiscono le distanze e più si entra in contatto, più si entra in contatto e più ci si influenza a vicenda. Proteggere la purezza della propria lingua significa costruire dei muri per tenere qualcuno fuori, o per portarlo dentro e omologarlo annullando le sue caratteristiche. 

E poi, la situazione attualmente non è così tragica: i forestierismi rappresentano solo il 3% dell’intero vocabolario italiano. Ma su questo non aggiungo altro, perché registrerò un episodio che parlerà proprio dei forestierismi e del dibattito attuale. 

Tornando a Valeria Della Valle, insieme al regista Vanni Gandolfo ha cercato di argomentare la sua posizione riguardo all’istituzione di una “polizia linguistica” nel documentario “Me ne frego! Fascismo e lingua italiana” che ripercorre le tappe principali della politica linguistica fascista, documentario che vi consiglio di guardare: lo trovate su Youtube. In questo documentario vedrete filmati autentici di questo periodo. 

Dunque, siamo arrivati alla fine di questo episodio, e come sempre vi saluto con una domanda: fino a che punto, secondo voi, è giusta la contaminazione linguistica? Pensateci.

Grazie per l’ascolto e alla prossima!

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