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LERNILANGO

Diario di un’insegnante – Settimana 169

Caro diario,

quando andavo all’università ho frequentato un corso di teatro di improvvisazione. Non l’ho fatto perché volevo diventare un’attrice, ma perché sentivo il bisogno di sbloccarmi.

Da piccola, fino ai 12 anni, ero senza vergogna: recitavo nelle recite scolastiche come protagonista, non avevo paura a salire sul palco durante i saggi di danza di fine anno, o durante le gare di ginnastica artistica. Non avevo paura o vergogna di interagire con gli altri, di ballare e di fare tante altre cose.

L’adolescenza e un’altra serie di eventi mi hanno boccata. Sono arrivata all’università con un corpo estremamente contratto, timido e impacciato quando doveva interagire con gli altri. Poiché riuscivo a sentire il blocco del mio corpo e mi mancava il corpo libero e senza vergogna della Simona del passato, ho deciso di iscrivermi, conoscendo i benefici del teatro, ad un corso di improvvisazione.

All’inizio è stato orribile. Andavo in panico quando era il mio turno di improvvisare. Balbettavo. Mi veniva da piangere, sentivo un nodo in gola che non mi permetteva di esprimermi. Mi sentivo inadatta guardando gli altri a cui l’improvvisazione sembrava naturale. Mi vergognavo, ma, soprattutto, la mia mente da soldato mi diceva “ma che ci fai qui, ci sono cose più serie da fare, come studiare per gli esami, questa cosa che fai è imbarazzante”. Io, studentessa modello, seria, con voti alti, produttiva, ero lì a giocare, a fare una cosa non seria e totalmente improduttiva.

Il teatro è stata una delle cose migliori che abbia fatto per me stessa, per la mia salute mentale e la mia anima. Dopo un anno di teatro, e altri eventi e trasformazioni interiori ovviamente, ricordo benissimo il giorno in cui iniziai a sbloccarmi. Dovevamo far finta di avere una piuma tra le mani, di soffiarla, di correrle dietro per riprenderla, e poi di nuovo, soffiare, rincorrere, riprendere. Mi divertii. La mia maestra, Mila Moretti, mi disse: “ti sei accorta che oggi finalmente hai giocato?”.

Giocare. Gioco. Queste sono le parole della settimana, caro diario. 

Un gioco, dice il Treccani, è: qualsiasi attività liberamente scelta a cui si dedichino, singolarmente o in gruppo, bambini o adulti senza altri fini immediati che la ricreazione e lo svago, sviluppando ed esercitando nello stesso tempo capacità fisiche, manuali e intellettive.

Giocando, grazie al teatro, ho iniziato a sbloccarmi, a migliorare anche le mie performance agli esami orali, ho iniziato a sentirmi più a mio agio tra gli altri, ho iniziato a piantare i primi semi del lavoro che oggi faccio, perché a teatro ho incontrato la prima insegnante di italiano per stranieri della mia vita, Maria.

Attività liberamente scelta, senza fini immediati, che sviluppa capacità fisiche, manuali e intellettive.

Giocare per ritornare bambini, per prenderci meno sul serio, per alleggerire, ogni tanto, il senso del dovere, per divertirsi, per imparare divertendosi.

Il gioco è fondamentale quando si apprende una lingua straniera. Permettetevi di giocare ogni tanto, se studiate la lingua italiana, anche se siete persone importantissime che lavorano in banca, che hanno mille responsabilità e pesi sulle spalle, non vi dimenticate di giocare.

Alla prossima, caro diario.

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