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#24: Il Fascismo e il senso comune: l’economia

Questo episodio di livello avanzato è il secondo di una serie dedicata al fascismo, un capitolo importante della storia italiana, che ancora oggi, sebbene in piccole quantità, continua a farsi sentire. Oggi vi parlo del senso comune e di alcune false credenze sul regime fascista in merito Scopri di più su https://lernilango.com
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#24: Il Fascismo e il senso comune: l’economia
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Introduzione

Questo episodio di livello avanzato del nostro podcast è il secondo di una serie dedicata al fascismo, un capitolo importante della storia italiana, che ancora oggi, sebbene in piccole quantità, continua a farsi sentire. Oggi vi parlo del senso comune e di alcune false credenze sul regime fascista in merito all’economia. 

Trascrizione 

State ascoltando “le cose italiane”, una rubrica prodotta da LerniLango, un’infrastruttura online per l’apprendimento della lingua italiana. Per saperne di più e per leggere la trascrizione del podcast vienici a trovare su Lernilango.com.

Per adesso buon ascolto dell’episodio “Il Fascismo e il senso comune: l’economia”.

Il senso comune. Sapete di cosa si tratta? Se sì, sapete dove voglio andare a parare con questo episodio. Se no, se non lo sapete, ve lo spiegherò ora brevemente, così capirete dove voglio andare a parare. Per chi non lo sapesse, “andare a parare” significa “mirare”, “avere un obiettivo”, dunque se io “voglio andare a parare” facendo qualcosa, significa che facendo questa cosa ho l’obiettivo di raggiungere un’altra cosa.

Torniamo adesso al senso comune e partiamo da un esempio, anche oggi, o meglio dal racconto di una chiacchierata che ho avuto con una donna molto più grande di me (80 anni circa) sul tema del “lavoro”. Vi parlo, vi do questa informazione sull’età perché penso sia rilevante per capire il contrasto di opinioni che io e lei abbiamo avuto.

Durante questa conversazione, durante questa chiacchierata lei era sconcertata dalla mia scelta del percorso di studi, perché i miei studi non avevano niente a che fare con il lavoro dei miei genitori. Io allora, durante quella chiacchierata, le risposi che avevo preferito seguire le mie passioni, poiché credevo molto più in questo che in altro. Lei mi rispose che questa cosa non era ragionevole, perché i figli DEVONO, devono, usò proprio questa parola, perché i figli devono fare il lavoro dei genitori, soprattutto se i genitori hanno un’attività ben avviata. Io allora le chiesi perché questo, cioè perché questa cosa?  E lei mi rispose, semplicemente: “perché è così, è naturale”. 

Dunque, se io, da un lato, avevo giustificato la mia scelta del percorso di studi ricorrendo ad una mia credenza personale, lei l’aveva fatto ricorrendo al senso comune. 

Ed il senso comune è proprio questo, il senso comune è un sistema di credenze che all’interno di una data cultura sono così ovviamente vere che è difficile vederle come credenze, cioè come cose che si credono perché influenzati da vari fattori (come la cultura, la religione, i libri che si leggono eccetera). Le credenze che fanno parte del senso comune sono così ovvie da diventare universali e, soprattutto, naturali, come naturale può essere il fatto che respiro. Ma le credenze non sono naturali, né tantomeno universali. Le credenze sono culturali e particolari, relative. 

Dunque, quando è Il senso comune a giustificare le cose che diciamo, e non la consapevolezza di riferirsi ad una credenza specifica, le cose che diciamo vengono percepite come naturali e universali. 

Che c’entra dunque questo con il fascismo? C’entra, ahimè, perché negli anni alcune credenze sul fascismo si sono intrufolate nel senso comune di italiani e italiane, ed oggi soprattutto nei social queste credenze hanno una diffusione incredibile, grazie anche al virale strumento dei meme. 

In questo e nei prossimi episodi vi racconterò alcune credenze sul fascismo, e di come queste credenze possono essere facilmente smentite se interroghiamo la storia. Nel mio caso, ho interrogato il saggio “Mussolini ha fatto anche cose buone” di Francesco Filippi, ed ho avuto delle risposte interessanti. 

L’intento di questo saggio è smentire, appunto, le false credenze sul fascismo, perché, dice Filippi, “avvelenano la memoria e […] la percezione del presente”, soprattutto la percezione del presente. 

Nello specifico oggi parlerò delle credenze relative all’economia italiana negli anni del regime. 

Nei meme che circolano sui social, si legge spesso di come durante il fascismo gli italiani erano molto più ricchi di oggi. Nella trascrizione di questo podcast trovate un link che vi rimanda ad uno di questi meme, così potrete averne un esempio concreto. 

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Ma torniamo a Filippi. 

Alla domanda “gli italiani erano più ricchi durante il fascismo?” lui risponde no, utilizzando fatti storici diversi per argomentare la sua risposta. 

Il primo fatto storico è quello del pareggio del bilancio. 

Nel 1925, durante il regime fascista si pareggiò e saldò effettivamente il debito pubblico, si raggiunse insomma il pareggio del bilancio. Questo però avvenne perché furono pagati i debiti contratti per la prima guerra mondiale, e il denaro in parte arrivò dalle riparazioni di guerra versate dalla Germania sconfitta. Dunque fu una coincidenza, e il pareggio non si deve ad una manovra del regime fascista. 

Un intervento fatto effettivamente dal regime fascista fu la famosa “quota 90”, una manovra per rivalutare la lira (la moneta italiana all’epoca). Mussolini vinse questa battaglia e la lira fu portata a quota 90 rispetto alla sterlina, quindi a 90 lire corrispondeva una sterlina. 

Grazie a questa manovra, acquistare materia prima all’estero divenne più semplice, più economico, ma furono i lavoratori italiani a pagare le conseguenze di questa manovra. Venne  infatti ridotto di un quinto lo stipendio dei lavoratori salariati. I consumi crollarono, i prezzi dei prodotti non diminuirono, i lavoratori non riuscivano più a risparmiare denaro. E non potevano neanche scioperare, perché il Fascismo aveva vietato qualsiasi forma di sciopero dei lavoratori. 

Rispetto agli altri paesi d’Europa, il reddito medio in Italia era bassissimo. 

Ci sono altri punti smentiti da Filippi nel suo saggio, punti di cui non vi parlo perché vi consiglio di scoprirli da soli e da sole leggendo il saggio che ha una sintassi scorrevole e piacevole. Nella trascrizione del podcast trovate un link (Mussolini ha fatto anche cose buone: Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo) che vi rimanda al libro. 

Concludo questo episodio, riprendendo una riflessione fatta dallo stesso Filippi, relativa alla sicurezza che ci trasmette il passato. 

Quando il presente è complicato, rumoroso, difficile da capire, è sempre più facile guardare indietro, perché le cose ferme del passato sono più facili da gestire rispetto alle cose che vivono nel presente, si muovono, e ferme non riescono a starci facilmente, soprattutto dietro allo schermo. 

Per questo secondo me è importante conoscere bene le cose, perché quando le conosciamo bene arriviamo alla stessa conclusione, secondo me, del protagonista del film di Woody Allen “Midnight in paris” nel momento in cui realizza che negli anni ‘20, da lui tanto amati, e in cui cui avrebbe voluto vivere per evadere dal suo presente, NON AVEVANO GLI ANTIBIOTICI. 

Spero che capiate la citazione. 

Quindi, siamo arrivati alla fine, anche di questo episodio, vi ringrazio  come sempre per l’ascolto e…ci sentiamo alla prossima! 

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